venerdì 30 aprile 2021

44 . FABIO MAURI, LA PELLE MISURA LA DISTANZA STORICA

EBREA 1971  di Fabio Mauri (https://www.fabiomauri.com/) è una performance che prende forza dagli oggetti e dal loro rapporto con il corpo.: la perfromance avveniva in uno spazio allestito come esposizione di oggetti, realizzati dall'artista, le cui didascalie li indicavano come prodotti  mediante l'utilizzo di corpi di persone ebree. 
Gli oggetti, le "cose",  entravano in rapporto semiotico con il corpo di una giovane donna nuda - con capelli crespi che ricordavano quelli di Angela Davis -  la cui fotografia compariva anche sul manifesto della mostra, con una stella di David tatuata sul petto. Angela Davis (1944) , attivista statunitense del movimento afroamericano e militante nel partito comunista, era stata arrestata nel 1970 perché accusata di avere partecipato con il gruppo delle Pantere nere all’omicidio del giudice Harold Haley. Fu poi dichiarata innocente.
Il tema principale della performance ideata da Fabio Mauri, classe 1926, che quindi nel 1945 aveva 19 anni, era il razzismo, e apparentemente solo quello nei confronti degli ebrei. Tuttavia il corpo della performer indicava come segno con i suoi capelli anche lo stigma  nei confronti dei neri, e oggi si potrebbe dire che era una denuncia nei confronti di ogni violenza razzista. 
La stella di David si rispecchia nel corpo della ragazza, ma in ciascun volto che vi si rifletta: siamo tutti forse razzisti? Questa domanda si potrebbe rivolgere a tanti, a ciascuno di noi, e  apre un tema molto attuale: quello della denuncia sommessa, silenziosa e del peso dello stigma portato sul corpo di tanti, tanti corpi discriminati.
Bisogna ricordare infatti che tra il 1971, data della prima edizione della performance, e il 1970, data dell'arresto di Angela Davis, era trascorso meno di un anno e in America i neri fino al 1964 , anno della pubblicazione di Civil Right Acts, non avevano gli stessi diritti di bianchi. Dieci anni prima Rosa Parks era stata arrestata per essersi rifiutata di cedere a una persona bianca il suo posto in autobus.  

IL RACCONTO DELLA PERFORMANCE 
La ragazza entra nello spazio espositivo coperta solo con un soprabito e quando se toglie di dosso è nuda. Arriva davanti a uno specchio da bagno (un vecchio specchio con mensolina su cui si trovano oggetti d’uso autentici degli anni ’30 del 1900, come bicchiere, spazzolini, forbici), quindi inizia a tagliarsi ciocche di capelli che arrotola e incolla sullo specchio di un armadietto. I capelli, arrotolati in piccole striscioline, formano una stella di David.
Dopo questa azione, si allontana. La storia riprende distanza.
IL VIDEO  DEL REENACTEMENT del 1993 
EBREA 1971, testo copiato dal sito di Fabio Mauri, Si tratta dell’originale della prima mostra nel 1971, alla Galleria La Salita, Roma:

Ebrea può essere un debito pagato oggi a un tempo oggi chiuso. Può darsi. Quando (1945) anch'io mi trovai di fronte al totale storico di un'operazione intellettuale fondata su un elaborato sistema di "falsi". Comunque il Razzismo l'ho visto riproporsi in varianti che già avevano prodotto il male ad uno stato raramente così puro.
In Ebrea il razzismo ebraico (anti) sta per quello negro, come per ogni altra specie o sottospecie di razzismo.
La cui legge, in ultimo, può riassumersi in: "discriminare l'uomo a motivo di un disvalore. O, ugualmente, di un valore". In cui discriminare é il contrario di un giudizio. E' la condanna per segni non individui, ma infinitamente traslati, però "obiettivi", esterni e collettivi, operata sull'uomo.
In Europa, dal '30 al '40, il razzismo ha matrice scientifica: afferma che esistano razze, e alcune superiori. Due nozioni che ho riconosciuto false, sebbene la prima sia ancora volgarmente propria.
Non tutto si é pianto o goduto come si doveva. In Ebrea é il primo caso. La sostanza di quella realtà ho avuto pochi momenti per scrutarla a fondo. Subito, una malattia mi chiuse gli occhi, sequestrandomi l'intero dopoguerra. Resta da qualche parte un lamento non consumato.
Io non sono ebreo, né figlio di ebrei. Ho desiderato, anche, di esserlo. Mi sento ebreo ogni volta che posso e patisco ingiusta discriminazione, e patisco discriminazione. Fare un'operazione sul tema é completare il lamento per un utile noto all'attività poetica e, forse, alla salute psicologica. Nessuno può impedirmi di curarmi come credo.
In Ebrea l'operazione é fredda. E indelicatamente culturale.
Ricompio con pazienza, con le mie mani, l'esperienza del turpe. Ne esploro le possibilità mentali. Estendendone l'atto, invento nuovi oggetti fatti di nuovi uomini. Intralcio di sfuggita la sicurezza laica del "design" contemporaneo così fiducioso nel "progresso". Può anche darsi.
Mi comporto come se quella realtà (la storica) non avesse avuto i suoi finali di condanna, ma ancora sommasse dati fino ad oggi. Altrove, é lecito sospettare, in modi diversi, l'operazione mi pare prosegua.
Ho scelto un periodo circostanziato per un motivo congiunto: di fiducia pratica nell'assenza del tempo. Dò talune risposte a contenuti culturali dell'epoca (al secolo) in cui sono vivo, nozione più sociologica che altro, all'interno di un tempo autobiografico che ha, in me, una realtà psicologica non inconsistente.
Se c'é una predica in questa dilatazione astorica, non so. Ci si deve chiedere opportunamente cosa non c'é in un'operazione espressiva.
Ebrea nasconde, però credo riveli subito, un accentuato lavoro sul linguaggio personale. Il nascondimento dell'operazione demoniaca cancella il "narciso", conferendogli impassibilità e buio. L'io affoga nel ruolo auto-didattico. L'immagine individuale scompare qualche attimo per sempre, e attende di attestare altri momenti più certi di vita, solo se fatta a "pezzi", con una congiunzione non casuale con la materia della scelta.
Oggi sembra obsoleta una critica allo sterminio di una intera popolazione? 
Si veda il museo qui il Museo dell'Olocausto in America a Washington. Ora anche i campi di concentramento sono diventati musei e le casermette dette  Bloki sono diventati tanti piccole gallerie espositive dove sono esposti gli oggetti personali appartenuti agli ebrei e tolti al momento dell’ingresso al campo: stanze colme di occhiali, di scarpe, con teche colme di capelli, tessuti fatti con i capelli, apparecchi ortopedici piccoli di bambini, vecchie valigie. 

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