"Il fatto che la tecnologia ci permetta di trascendere i limiti della percezione naturale e vedere cose che prima erano invisibili, crea una nuova dimensione estetica dell’esperienza e pratica che con noi chiamiamo estetica molecolare": così scriveva Peter Weibel (1944-2023, austriaco artista e studioso di media arte) in Molecular Aestetic, poderoso testo scritto con Liljana Fruk, che riunisce i contributi di un convegno svoltosi nel 2011 presso lo ZKM di Karlsruhe in Germania. La ricognizione dello studioso sulle trasformazioni del rapporto tra rappresentazione e oggetto nell’arte occidentale prende avvio da una acuta analisi che inizia dal programma scientifico che Leonardo nel XV secolo aveva descritto nel suo Trattato sulla Pittura, finalizzato alla descrizione degli elementi necessari alla rappresentazione di ciò che è visibile nella realtà: punto, linea e superficie. Nell’arte del ‘900, secondo Weibel, la realtà ha sostituito la rappresentazione ed è penetrata nell’arte con oggetti reali e corpi reali. Successivamente, l’avvento delle nuove tecnologie ha dato luogo all’invasione dell’ arte e della realtà da parte dei media che hanno aperto un varco verso l’immaterialità, il virtuale e la simulazione. Poiché gli organi di senso sono l’interfaccia naturale di ciascun essere animale nei confronti dell’ambiente, i media, che estendono gli organi di senso, sono definiti da Weibel come interfacce artificiali di questi stessi organi attraverso i quali gli esseri umano osservano e danno significato al mondo e all'ambiente che li circonda. Non solo, ma se è vero che la realtà è relativa all’osservatore, e quest’ultimo costruisce la realtà attraverso gli organi di senso, prima solo naturali e ora anche artificiali, allora anche gli organi di senso artificiali costruiscono nuove realtà: quella dei media e quella della natura. Qui citiamo le testuali parole di Weibel tradotte da noi: "Inoltre essa ( la Media Art) non si focalizza sull’analisi autoriflessiva del mondo intrinseco dei significati della rappresentazione così come faceva la pittura astratta, ma la sua analisi autoriflessiva porta a un’analisi della rappresentazione visuale del mondo che forse diventa anche una critica della realtà costruita dagli stessi media".
Se l'arte che utilizza nuove tecnologie, una anatomia, il cui stesso nome deriva dallo strumento di dissezione utilizzato dalla scienza medica per scoprire il corpo, e che si voglia dire artistica, creando un ponte tra scienza e arte, non può non fare i conti con i nuovi strumenti di indagine del corpo, dai microscopi, ai raggi X, alle tomografie ed ecografie, alle potenzialità e alle problematiche derivate dall'inserimento dei nuovi media nell'accesso contemporaneo al corpo umano.
Per l’artista tedesco Gustav Metzger, vissuto in Inghilterra (dove era stato trasferito da bambino con l’operazione Kindertransport perché ebreo) e ivi morto novantenne, l’arte, che integra scienza, tecnologia e attivismo ambientale è auto-distruttiva, come disse in una sua famosa conferenza a Londra nel 1966, intitolata, appunto, Destruction in Art Sumposium DIA. Metzer ha scritto quattro manifesti teorici sulle implicazioni sociali del gesto autodistruttivo (dal 1959 al 1962), il primo dei quali, denominato Manifesto dell’ADA (Auto-Destructive Art) lo scrisse in occasione della sua seconda mostra personale presso la 14 Monmouth Street di Londra, in cui la sua pratica teorica e artistica si scagliava contro i concetti di possesso, commercializzazione e proprietà dell’arte. Qui si interrogava sull'obsolescenza e la degenerazione dei materiali, facendo un parallelo con il fascino della distruzione della società occidentale, con la devastazione causata dall'umanità alla natura. Decise infatti di esplorare il potenziale creativo della scienza e della tecnica, utilizzando materiali quali l'aria compressa, gli acidi, il gas di scarico, l'acqua, il calore, i cristalli liquidi e facendo con questi materiali diversi esperimenti alla ricerca della ricerca sulla metamorfosi della materia.
Si riportano qui alcuni passi del suo Manifesto del 1961:
AUTO-DESCTRUCTIVE ARTE
"L'arte autodistruttiva è per prima cosa una forma di arte pubblica per società industriali. Pittura, scultura e costruzione autodistruttiva costituiscono un'unica idea di un processo di disintegrazione che comprende luogo, forma, colore, metodo, tempo.
L'arte autodistruttiva può essere creata con forze naturali, tecniche artistiche tradizionali e tecniche tecnologiche.
L'artista può collaborar e con scienziati e ingegneri.
L'arte autodistruttiva può essere prodotta prodotta con le macchine e assemblata in una fabbrica.
Le pitture le sculture e le costruzioni autodistruttive hanno una durata vitale che varia da pochi secondi a 20 anni. Quando il processo di disintegrazione sarà completo l'opera sarà rimossa dal sito e rottamata. (...) L'arte autodistruttiva è arte che contiene al suo interno un agente che automaticamente porta all'autodistruzione in un periodo che non supera i vent'anni.
(...)
MANIFESTO AUTO-DESTRUCTIVE ART
Un uomo in Regent Street è autodistruttivo. (ndr. Regent Street è una strada di Londra famosa per i suoi negozi)
Razzi, armi nucleari sono autodistruttivi.
Arte autodistruttiva.
La caduta delle bombe H che cadono come gocce.
Nessun interesse per le rovine (il pittoresco).
L'arte autodistruttiva rimette in scena l'ossessione per la distruzione e per la demolizione a cui sono soggetti masse e individui.
L'arte autodistruttiva mostra il potere dell'uomo di accelerare il processo di disintegrazione e del riordino della natura;
L'arte autodistruttiva rispecchia il perfezionismo compulsivo delle fabbriche di armi che mirano al perfezionismo della distruzione;
L'arte autodistruttiva è la trasformazione della tecnologia in arte pubblica. L'immensa capacità produttiva, il caos del capitalismo e del comunismo sovietico, la coesistenza di surplus e di fame, l'aumento e lo stoccaggio di armi nucleari (più di quelle necessarie per distruggere le società tecnologiche), l'effetto disintegrativo delle macchine e di vite costrette in vaste aree di edifici adibiti a dormitori.
Si rimanda con alcuni video interessanti sul suo lavoro: https://slowforward.net/2021/11/22/gustav-metzger-tre-video/
Di seguito si descrivono alcune opere che introducono alla sua poetica della distruzione:
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Earth from Space (1966)
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Earth from Space (revisited) (1966/2014), riallestita ne 2014, è un'installazione cinetica che bene esemplifica il suo approccio. L'opera è costituita da slides di vetro (vetrini tipo microscopio) contenenti cristalli liquidi, attivati da un motore elettrico e da una bobina di riscaldamento. I cristalli liquidi si spostano e cambiano colore, simulando la Terra vista dallo spazio. L'installazione, posta su un piedistallo, mette l’osservatore di fronte a una trasformazione dei colori che testimoniano l'impatto dell'attività umana sull'ambiente. Gustav Metzger aveva iniziato ad interessarsi alle potenzialità dei cristalli liquidi, leggendo un articolo sulla rivista Scientific American del 1964, che esaminava la le proprietà trasformative della struttura molecolare, ottica e termica dei cristalli liquidi colesterolici.
Earth from Space è la sua prima opera cinetica con i cristalli liquidi e anche la prima opera in cui Metzger sfruttò le proprietà aleatorie e trasformazionali dei cristalli liquidi in un lavoro che si auto-riproduceva, governato da una ripetizione ciclica e che confermava le teorie dell'artista sull'arte autogenerata.
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Liquid Crystal Environments (1966-2024) |
Sempre con i Cristalli liquidi Gustav Metzger ha concepito un’altra installazione, stavolta ambientale: Liquid Crystal Environments (1966-2024) esperienza visiva dei processi di autodistruzione e auto-creazione, mediante i quali Metzger è riuscito a connettere la riflessione sull’instabilità dell’esistenza in una terra post-atomica con una nuova coscienza ecologica. I cristalli colorati erano inseriti tra due lastre di vetro inserite in un proiettore di diapositive e sottoposti all'effetto della temperatura della lampada del proiettore. La proiezione sui cinque schermi della luce sparata attraverso cristalli liquidi compressi tra le diapositive creava colori e forme viscose che mutavano lentamente con la fluttuazione della temperatura della lampada. Gustav Metzger ha allestito questa installazione per la prima volta a Londra presso la Better Books Gallery nel 1966. Lo stesso anno, durante il Capodanno celebrato alla Roundhouse di Londra, proiettò i suoi cristalli liquidi sul palco mentre suonavano i gruppi Cream, The Move e The Who. Si creava così un paesaggio di origine microscopica in continua evoluzione che rivelava la vita della materia.
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Acid Paintings (1960-1962) |
Acid Paintings (1960-1962) Si trattava di una azione distruttiva attuata nella corrosione del nylon che l’artista compiva come in un sacrificio rituale: “La teatralità dell’atto performativo si riduce ai minimi termini. Metzger si limita ad attivare un processo, il cui esito sfugge al proprio controllo” . La prima volta utilizzò acido cloridrico su tre tele di nylon presso il molo di South Bank, a Londra. Metteva in atto il processo di trasformazione e disintegrazione della materia, la violenza delle immagini, il rapporto tra trauma e perdita. Si legga questo testo di Jacopo De Blasio pubblicato su Doppiozero e anche Estetica dell’auto-distruzione di Piermario De Angelis per Antinomie).
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Drop on Hot plate |
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Mobbile (1970/2021) |
Progetto Stoccolma (si rimanda all’articolo ricco di spunti Gustav Metzger e il "Progetto Stoccolma" di Jacopo De Blasio ) Nel 1972 si svolse la prima conferenza sul tema dello sviluppo sostenibile, la Conferenza di Stoccolma, tenutasi tra il 5 e il 16 giugno 1972 e a cui parteciparono gran parte dei membri delle Nazioni Unite, ovvero 112 stati, nonché le agenzie specializzate ONU ed altre organizzazioni internazionali.
Preceduto dall'installazione Mobbile, il progetto Stoccolma prevedeva una installazione con decine e dcine di auto accese che, con i loro gas di scarico, riempivano un cubo trasparente di monossido di carbonio. L'artista ne ha sviluppato diversi prototipi, poi una installazione.
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