venerdì 11 giugno 2021

GINO DE DOMINICIS, Tentativo di formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno a un sasso che cade nell’acqua (1969-70)

Scheda di Ainda Fabbricini 


Tentativo di formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno a un sasso che cade nell’acqua, due versioni della performance (una in studio documentata da Elisabetta Catalano, l’altra su un percorso d’acqua), 1969/70;

La storia della nascita di questa performance è sicuramente singolare: l’intenzione iniziale di Gino De Dominicis era quella di riprendere alcune colombe uscire dall’acqua e volare verso il cielo, per simboleggiare la tramutazione dei pesci in uccelli, ma questo indubbiamente non accadde perché le ali delle colombe si impregnarono d’acqua e vennero trascinate dalla corrente. Allora sul momento De Dominicis decise di improvvisare un’altra performance, la nostra protagonista.
Dopo questa, realizzata così all’ultimo momento c’è stata un'altra versione, la stessa azione riprodotta però in studio, di cui esiste una documentazione fotografica di Elisabetta Catalano.
La scelta di riproporre la stessa azione una seconda volta sembra in realtà una provocazione da parte dell’autore, verso il pubblico e non solo. Gino De Dominicis di solito non si fermava a un tentativo ma lo riproponeva moltissime volte sottolineando un accanimento verso qualcosa di impossibile. La domanda che sorge spontanea è: perché? Che concezione deve avere di sé un artista per mettere costantemente alla prova leggi fisiche che l’essere umano non è in grado di cambiare? È proprio in questo che risiede l’atteggiamento che affascina di De Dominicis, nel porsi come ‘servo’ dell’arte e della natura. 

Gino De Dominicis nella sua carriera sperimentò tantissime forme d’arte, tante tecniche, sempre diverse: pittura, scultura, filosofia, architettura e arte performativa. Per quello che concerne le performance si avvaleva del video e della fotografia, anche se profondamente contrario all’utilizzo di questi mezzi documentativi, proprio perché la fotografia, come il video, è uno strumento che andava in profondo contrasto con la sua poetica, non volendo appunto lasciare documentazioni. 
Oggi viviamo in un contesto in cui c’è una ridondanza di immagini e documentazioni a portata di mano di tutti. Eppure trovare documentazioni di Gino De Dominicis, tante volte  sembra impossibile.
Per questo motivo il mezzo di documentazione che prevale nel suo caso, è proprio tramite il ricordo, i racconti delle persone che lo hanno conosciuto, gli scritti che ha lasciato. Una personalità come quella di De Dominicis si può solo immaginare, ma non  si arriverà mai al punto di pensare anche solo per un istante di averla capita realmente, potrei anche pensarlo. 

Gino De Dominicis si mostra nell’intento di lanciare dei sassi nell’acqua cercando però di formare dei quadrati attorno ad esso; un’impresa impossibile, ridicola, fuori da ogni riga. Però la fa, lancia questi sassi imperterrito e lascia stupito il suo pubblico.
Allora il tema centrale di quest’opera è proprio quello di lasciare senza parole un pubblico, costringendolo a porsi degli interrogativi sull’arte, sulla fisica, sul pubblico stesso che guarda cose che a volte, non c’è neanche bisogno di guardare. Gino De Dominicis non sta sfidando la natura, sta sfidando le persone, il suo ambiente, tutto ciò che gira attorno alle gallerie e al mondo dell’arte. La sfida avviene cercando di imporre allo spettatore costrizioni mentali, non con particolari mezzi, semplicemente mettendosi davanti a una sua opera. 
Un altro tema importante affrontato da Gino De Dominicis riguarda il problema dell’esistenza e dell’immaterialità delle cose. Le cose esistono solo in quanto verifiche, ma esse non esistono davvero. 
Il tema, quindi, risiede in quest’atteggiamento di svalutazione o azzeramento della realtà e dell’esperienza sensibile e la sua ferrea convinzione che le cose terrene possano acquisire significato, sostanza e corporeità soltanto nella dimensione temporale, quindi ultraterrena. Materializzare l'assenza, rendere visibile, concreto, a tratti palpabile l'invisibile, è il teorema sul quale poggia e si sviluppa quel suggestivo gioco di ossimori al quale de Dominicis sottopone continuamente lo spettatore.

Nella foto di documentazione di Elisabetta Catalano, Gino De Dominicis si trova in studio, seduto su una scala, con le spalle rivolte verso l’angolo della parete. A poca distanza davanti a lui, c’è un recipiente contenente dell’acqua. De Dominicis fa questa performance vestito di nero, anonimo, una maglietta bianca, pantalone sformato, scarpe nere e occhiali da sole, anch’essi neri. Non è su di sé che vuole attirare l’attenzione ma sul gesto che sta compiendo.
L’azione è stata artificialmente ricreata riprendendo quella fatta sul fiume Il titolo della nostra opera è già perfettamente descrittivo, racconta infatti cosa succederà nell’azione, senza lasciare dubbi. Ed ‘è proprio questo quello che farà Gino, lanciare dei sassi nell’acqua davanti a sé, cercando di sfidare le leggi della fisica.
Quando una pietra cade nell’acqua ecco che l’azione ricomincia: un nuovo lancio della pietra.
L’ossessione per la ripetizione del gesto è qualcosa di affascinante, da un valore in più all’opera.
Guardando la foto di questa performance, nonostante non sia un video, non abbia colori, posso sentire e immaginarmi lì in quella stanza, guardando questo sasso che percorre la traiettoria per arrivare poi a cadere nell’acqua, sentire il suono del tonfo. Quello che potrei provare da spettatore è un fastidio incolmabile, guardare qualcosa sapendo che non c’è nemmeno un briciolo di speranza che l’azione si realizzi effettivamente, mi farebbe chiedere: cosa sto guardando? Cosa ci sto facendo qui? Perché quest’opera ha senso solo nel momento in cui la si compie, per chi la compie. Guardarla fare sarebbe qualcosa di completamente inutile, creerebbe forse un’atmosfera provocatoria e disturbante, nei confronti dello spettatore, nei confronti dell’arte.

Gli spettatori si trovano all’esterno della performance, non hanno la possibilità di interagire e di fruire direttamente con il corpo del performer.
Il percorso che possono compiere è circolare, girare intorno alla scena: al contenitore con l’acqua e all’artista stesso che si trovano al centro della stanza.
Rimangono a osservare il tentativo di Gino De Dominicis e osservando entrano a far parte dell’opera stessa. Osservare l’azione dell’artista equivale a porsi mentalmente nello stesso modo in cui si pone l’artista nei confronti dell’arte. Comprendere ed elaborare ciò che per Gino significa realizzare un’opera, far parte della provocazione che verte verso l’arte contemporanea.
Se fossi stata io la spettatrice di questa performance probabilmente mi sarei chiesta per quale motivo la stessi guardando. Forse mi sarei sentita  in qualche modo parte dell’opera stessa, parte di una critica all’arte contemporanea. Uno spettatore a cui non importa di quello che sta guardando, ma solo di guardare qualcosa.  Penso che De Dominicis sia stato proprio un genio folle, come molti lo descrivono, e che sia  riuscito pienamente nel suo intento: provocare, riflettere, provare a dimostrare che anche l’impossibile può essere possibile, creare un’arte che fa riflettere non sull’arte ma sulla vita.

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