In opposizione alla forza di gravità un corpo può essere sospeso o appeso: con le sue forze, oppure sostenuto da altri corpi.
Da una scheda di Jacopo Mainardi
Nelle sue opere, fin dall'inizio, Mattew Barney, artista americano, sperimenta il suo sforzo nel dipingere o disegnare su muri. Prendiamo in esame il suo lavoro analizzato da Jacopo Mainardi, Drawing Restraint 2, MoMa di New York,1988:
Drawing Restraint è una serie iniziata nel 1987, quando Barney era ancora studente ed era un progetto a lungo termine. Drawing Restraint 2 (1988) è una performance che viene documentata attraverso video, fotografie e disegno. Barney utilizza attrezzature sportive, rampe, trampolini, elastici e dispositivi di sospensione per creare situazioni in cui il suo corpo deve lottare contro una forza contraria mentre produce un disegno sulle pareti di una stanza. Sviluppata in privato, questa performance è stata filmata e fotografata al fine di preservarne una documentazione in bianco e nero. “Drawing Restraint 2” infatti incorpora fotografia, scultura e performance.
L’idea centrale di Drawing Restraint 2 è che la resistenza, l’ostacolo o la limitazione possono stimolare l’inventiva e la produzione artistica. In Drawing Restraint 2, Barney si arrampica su una parete utilizzando cinghie elastiche per creare tensione mentre disegna su una superficie, facendo del disegno un esercizio fisico in cui deve bilanciare controllo e movimento. I temi ricorrenti nella serie includono la resistenza fisica come stimolo per la creatività, la trasformazione del corpo, e l’interazione tra controllo e libertà nel processo artistico. Il performer è uno solo, l’artista, Barney che si arrampica e corre lungo panche inclinate, legato alle cosce con una corda elastica che ne limita i movimenti, per disegnare su dei fogli di carta fissati sul punto più alto della parete, aiutandosi anche con una asta di legno. In azione è tutto il suo corpo che indossa abiti normali, di tutti i giorni.
L'opera non ha un racconto, ma una descrizione di sforzi fisici e resistenze, una performance ginnico-estetica che elabora una dimensione temporale reiterata. Il corpo dell’artista lotta in una situazione costretta autoimposta in uno scantinato claustrofobico. Gli elementi della performance richiamano gli attrezzi ginnici classici del suo background di atleta, panche, maniglie, corde elastiche, blocchi e pinze metalliche per reggere i fogli di carta sulle pareti dove disegna con matite e pastelli neri. Il corpo dell’artista è in continua tensione con gli elementi della performance, la sua postura è forzata. La luce è artificiale e fredda. L’azione è ripresa in video in bianco e nero, per esaltare la restrizione e la drammaticità. Il corpo è un luogo di lotta e la restrizione aiuta alla creazione artistica, senza un pubblico. Barney mette il suo corpo e la sua esperienza come ex atleta al servizio dell’atto artistico. Il trascorso avuto sui campi da football lo ha segnato, quindi ha iniziato a usare il suo corpo come tramite creativo, a sviluppare situazioni restrittive creando una sorta di resistenza contro il suo corpo. Barney pensa che come un atleta ha bisogno dello sforzo per crescere, il suo corpo ha bisogno di resistenza autoimposta per la creazione artistica. Applicando l’idea di ipertrofia alla crescita artistica, sia essa fisica, culturale o spirituale, Barney ha esplorato il concetto che gli artisti “più forti” (come gli atleti più forti) dovrebbero superare ostacoli autoimposti per creare qualcosa di “più elevato”; qualcosa di più “potente”. Ritengo la sua performance blandamente provocatoria verso il mondo dell’arte, che notoriamente limita gli artisti. Il corpo nella performance diventa un luogo di lotta verso questi limiti e sistemi imposti e questo atto di resistenza diventa l’arte stessa.
Per approfondire il lavoro di Mattew Barney, questo link in questo blog
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