Da sempre interessato agli scheletri e agli animali dotati di esoscheletro, Fabre ha esplorato, attraverso l'utilizzo del disegno con la penna bic come della scultura con materiali organici, i rapporti di scala e di metamorfosi tra l'enorme e il minimo, con diverse sculture e installazioni in cui ha utilizzato carcasse vere di coleotteri, e di scarabei (animali simbolo della metamorfosi per eccellenza) come nella decorazione del soffitto del Palazzo reale di Bruxelles, Heaven of Delight, e come in Totem, una scultura del 2004 che riproduce un insetto gigante infilzato su un ago di 7 piedi in acciaio, a Ladeuzeplein a Leuven.
si può vedere nell'immagine di destra che i coleotteri sono compsti in modo da assomigliare a un disegno a tratteggio fatto con la penna bic.
In contemporanea con la Biennale del 2017, Fabre ha realizzato la mostra antologica Glass and Bone Sculptures 1977-2017, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, Katerina Koshina e Dimitri Ozerkov, con sculture di vetro e ossa, il cui tema era l'attraversamento del tempo e della morte attraverso due materiali tanto resistenti quanto fragili, con un preciso riferimento da un lato al suo paese di origine con in cui i pittori del '500 mescolavano le ossa triturate per realizzare i colori a olio, e alla città che lo ospitava, Venezia, patria dei vetri fusi di Murano.
“La mia idea filosofica e poetica - ricorda Jan Fabre – che riunisce assieme il vetro con le ossa umane e animali, nasce dal ricordo di mia sorella che da bambina giocava con un piccolo oggetto di vetro. Questo mi ha fatto pensare alla flessibilità dell’osso umano in confronto con quella del vetro. Alcuni animali e tutti gli esseri umani escono dal grembo materno come il vetro fuso esce dal forno di cottura. Tutti possono essere modellati, curvati e formati con un sorprendente grado di libertà”.
Qui un teschio di vetro tiene tra le mandibole lo scheletro vero di un quadrupede, forse una scimmia.
Il tema della ricerca di Fabre è la sacralità, universale e imperitura nel tempo, del corpo umano. Senza implicazioni sociologiche, ma attingendo agli archetipi di tutti i tempi nella civiltà occidentale.
Dice Giacinto di Pietrantonio: "La materia, nel lavoro di Fabre, non è celebrata in senso fenomenico, ma è usata come messaggera di arcane simbologie connesse con la sua essenza stessa. Nella sua ricerca, Fabre non persegue un’arte che valuta la storia come prodotto del presente, ovvero della sociologia, quanto come lotta che si dispiega all’interno di una materia la cui memoria si è dissolta nelle profondità del tempo”.
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