BIO DI REBECCA HORN
Nata in Germania nel 1944, un anno prima del termine della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1964 contrae un grave avvelenamento ai polmoni causato dalla lavorazione - senza protezioni- con materiali tossici come la fibra di vetro. Costretta a passare tre anni in isolamento, in questo limbo di tempo e di spazio sperimenta una nuova relazione con ciò che la circonda. Un lento ricominciare daccapo. Una riscoperta cauta dell'ambiente, del corpo e del sociale.
Dall'inizio degli anni '70 realizza un flusso sempre crescente di spettacoli, film, sculture, installazioni spaziali, disegni e fotografie. Dalle documentazioni traspare la precisione della funzionalità fisica e tecnica che usa per lo spazio, studiato perfettamente. Inventa strutture che costringono e allo stesso tempo liberano, limitano il corpo e gli concedono nuove possibilità: su queste basi sviluppa tutti i suoi primi lavori e la sua ricerca artistica prosegue con la realizzazione di sculture cinetiche, che lentamente prescindono dal corpo e lo rimpiazzano. Compaiono anche nei lungometraggi dell’artista, come The Feathered Prison Fan in Die Eintaenzer (1978) o The Peacock machine in La Ferdinanda (1982).
Le body extensions di Rebecca Horn rappresentano un percorso evolutivo e si concentrano principalmente sulla relazione performativa del tatto, in quanto azione fisiologica di toccare/toccarsi e del contatto, ovvero l'azione di relazione con qualcosa o qualcuno.
Per relazione performativa si intende l'insieme di gesti ed azioni rivolti alla sperimentazione di ambienti esterni tramite il proprio corpo, Con le body extensions si ha a che fare con vere e proprie estensioni corporee realizzate per esplorare e colmare i vuoti del corpo umano.
La performance è stata documentata dalla stessa artista tramite fotografie e video. Il video viene proiettato successivamente nel 2009 presso la Fondazione Bevilaqua Galleria di P.zza San Marco a Venezia, in occasione di una personale dell'artista, Fata Morgana, nella quale presenta un lavoro sulle illusioni. Tema centrale di questa performance è il tatto, propriamente l'illusione tattile creata dalle piume a contatto con la pelle, un'analisi sperimentale sulla propriocezione.
"Feathers Fingers, è incentrata sull’illusione tattile. Una piuma è attaccata a ciascun dito con un anello
metallico, per far sì che la mano diventi simmetrica e sensibile come un’ala d’uccello, quasi si fosse all’improvviso disconnessa dall’altra, e mutata in un essere separato. Sfiorando il corpo con le piume, vi è la percezione del senso del tatto nelle dita, anche se in realtà esse non entrano in relazione diretta con il corpo stesso. "
metallico, per far sì che la mano diventi simmetrica e sensibile come un’ala d’uccello, quasi si fosse all’improvviso disconnessa dall’altra, e mutata in un essere separato. Sfiorando il corpo con le piume, vi è la percezione del senso del tatto nelle dita, anche se in realtà esse non entrano in relazione diretta con il corpo stesso. "
L'artista in quanto scultrice si concentra sul tatto, il senso che più si sviluppa nella scultura.
Innanzi tutto, va ridimensionata l’opinione comune secondo cui i recettori della percezione tattile, del tatto, non dispongano di un proprio organo sensoriale – come accade per la vista, l’udito, l’olfatto e il gusto che hanno le loro rispettive sedi ricettive negli occhi, nelle orecchie, nel naso e nella bocca – o tutt'al più risiedano nelle nostre estremità corporee come i piedi e appunto, le mani. In realtà, il tatto umano è collocato nel più ampio e pesante degli organi di senso: la pelle, che ricopre un’area di 1.8 mq e pesa 4 kg. I recettori tattili sono inseriti nella pelle lungo tutto il corpo.
Dunque nel momento in cui si agisce sul corpo accarezzandolo con le mani, si ha già una doppia percezione: quella della mano che tocca e quella della pelle che viene toccata.
La Horn tratta il suo corpo esattamente come una scultura che deve essere toccata. Applica ad esso una estensione, che funge da protesi esterna, permettendole di amplificare la -già naturale- dicotomia percettiva e poter contemporaneamente sentirsi accarezzarsi e sentirsi accarezzata. Sulla pelle piume morbide e leggere, alla mano una sensazione di dislocazione, di non appartenenza, di disconoscimento verso una parte di se che in realtà c'è sempre stata.
Honoré de Balzac affermava che le complesse percezioni del tatto offrono un fenomeno inesplicabile che si è tentati di chiamare "incarnazione del pensiero. La mano, avendo da sola eseguito tutto ciò che l’uomo ha concepito fin qui, rappresenta in qualche modo l’azione stessa ".
Nella documentazione fotografica della Horn il soggetto centrale si sposta sulle azioni delle piume manovrate dall'artista e anche nelle riprese video, la telecamera segue i movimenti delle estensioni in dettaglio sul corpo, e non non la figura intera della performer.
La vista e il tatto hanno un rapporto ambivalente nell'opera di Rebecca Horn.
La performer è la stessa artista, ma dalla documentazione video emerge una sostituzione del soggetto. L'artista non è ripresa nella sua identità fisiognomica, ma nella sua identità manuale: le azioni di Feathers Fingers producono l'identità di Rebecca.
Infatti, le dita-alate assumono il centro delle registrazioni video, seguite in ogni spostamento ed osservate nel contatto con ogni parte del corpo.
Chi guarda nell'occhio della videocamera riesce solo ad immaginare ciò che prova l'artista all'opera.
Rebecca Horn, Weisser Körperfächer 1972 |
Questa è una delle prime opere di body extension.
Partendo sempre da schizzi a matita su carta, si nota il processo con cui la Horn aveva "pensato" e poi partorito i suoi guanti.
Senza titolo, grafite su carta,
479x379x40 mm, 1968-69, dal 2002 nella Collezione Tate Modern Museum.
alcune bozze dell'artista, tra cui si nota la frase “Lady finger“.
Senza titolo, grafite e pastello su carta,
479x379x40 mm, 1969
dal 2002 nella Collezione Tate Modern Museum
A destra due volti coperti da una maschera che mette in evidenza l'impossibilità di vedere. A sinistra la ricerca attraverso la “liberazione“ dello sguardo, possibile solo attraverso una fessura, e la protesizzazione della bocca in due forme geometriche ovali. In basso a sinistra le forme ovali partono esattamente sotto gli occhi a formare due cannocchiali, a destra sparisce il volto ed emergono solamente quattro protesi, che sembrano prolungamenti delle dita
Fingerhandschuhe, legno di balsa e tessuto, 1972, TATE Modern Museum.
Nasce nei disegni un guanto che si indossa semplicemente attraverso una fascia. È interamente in tessuto e le lunghezze sono in legno di balsa. Queste lunghe dita fungono sia da estensione del corpo che da amplificatori sensoriali. Rebecca descrive le sue sensazioni in questo modo:
"Questi guanti sono leggeri, si possono muovere senza sforzo, raggiungono gli oggetti più lontani – e comunque permettono di mantenere una certa distanza dalle cose. E' come se le mie dita potessero essere infinitamente più lunghe, dando l’illusione alla mente che io stia veramente toccando ciò che invece solo le estensioni sfiorano."
VEDERE E TOCCARE
Nella foto in alto la Horn è soggetto centrale nella struttura formale della foto, dotata dei guanti che le deformano gli arti, colta nel momento in cui sta cercando di afferrare un pezzo di carta dal pavimento. La concentrazione, ma soprattutto lo sguardo è indirizzato all'oggetto da afferrare ed è incrociato, quasi parallelamente, dalle lunghe dita che fungono otticamente da vettori d'azione.
Assodato che quella del tatto è una modalità percettiva che più delle altre coinvolge l’azione corporea, proprio per questa ragione è definita generalmente come percezione multisensoriale. Al posto di percezione tattile, sarebbe più appropriato infatti usare la locuzione percezione aptica, con cui si intende un’elaborazione degli stimoli derivata non solo dai recettori sensoriali della pelle, cioè quelli propriamente tattili, ma anche dai recettori dei muscoli, dei tendini e delle articolazioni, i quali appartengono ad un altro tipo di attività percettiva detta cinestesica o cinestesia. Se quella aptica è, dunque, un’attività percettiva multisensoriale in sé, che si può dire dei suoi rapporti con le altre modalità sensoriali e, in primis, con la percezione visiva?
Percorsi di ricerca di questo tipo erano già stati prospettati dalla psicologia della Gestalt. Dagli anni '70 ad oggi le ricerche (prima sui primati poi sugli umani) delle neuroscienze hanno dimostrato l’esistenza di interazioni fra visione ed esperienze aptiche nella percezione di oggetti prossimi al corpo, cioè all’interno dello spazio peripersonale, che potremmo definire come lo spazio all’interno del quale gli oggetti sono alla portata delle nostre mani.
I neurofisiologi finlandesi Juhani Hyvärinen e Antti Poranen, monitorando le singole cellule nervose del macaco, osservarono che in risposta ad uno stimolo cutaneo si attivavano selettivamente, nel cervello del primate, delle cellule specifiche in base alla regione stimolata. La sorpresa ci fu quando si accorsero che questi neuroni si attivavano anche anticipatamente alla stimolazione tattile, solamente nel momento in cui lo stimolo di avvicinamento era visibile.
Se lo stimolo risultava lontano dal corpo, non avveniva nessuna risposta neuronale tattile.
Dunque anche la percezione visiva di un oggetto in avvicinamento, può provocare una percezione tattile.
Nel caso della Horn, vedere e toccare sono messi sullo stesso piano grazie alla distanza in cui si pone la performer nell'agire. Guardare a distanza per scrutare ed analizzare diventa anche toccare a lunghe distanze.
L'artista mette in atto un'operazione di animalizzazione della visione.
Ad esempio, quando una tigre è a caccia, non si può affidare alla sola vista perché l'altezza dell'erba delle steppe glielo impedirebbe. Ciò a cui si affida maggiormente è l'olfatto e in seconda battuta il tatto. Affonda le zampe nel terreno per comprendere il suolo su cui si dovrà battere e l'aderenza di cui ha bisogno. Allo stesso modo la Horn, cacciatrice del pezzo di carta, usa il senso che ha sviluppato maggiormente (la vista) e attraverso l'ingegno avvia un processo metonimico di spostamento e potenziamento di un'altra struttura sensoriale: il contatto.
Nell'indagine sulla logica della percezione visiva, il “vedere“ si biforca in due funzioni: la visione animale focalizzata sul suolo dove essi si muovono, loro e le loro prede, dove la visione è un'estensione del tatto; e la visione umana, caratterizzata come sguardo, determinato dalla coscienza della distanza di chi guarda dall'oggetto guardato. La funzione della posizione eretta dissocia la visione da tutto ciò che ha a che fare con l'orizzontalità del suolo.
Dissociazione che si squarcia nel momento in cui l'artista ritrova il contatto diretto con il pavimento attraverso il tatto, o per meglio dire la percezione aptica.
La visione è animalizzata dall'azione vettoriale provocata dalle estensioni frontali e parallele alla direzione dello sguardo; ma l'oggetto guardato-afferrato non è frontale e parallelo al corpo eretto, bensì sottostante e perpendicolare ad esso. Rottura della Gestalt, attraverso l'inversione formale della Pragnanz. "Noi siamo capaci di guardare le cose su un piano perpendicolare alla direzione del nostro sguardo, cioè su un piano di Pragnanz frontale-parallelo".
La mano, unitamente al braccio di cui costituisce l’estremità, è il nostro principale organo esecutivo, quello che ci caratterizza sia come homo faber sia come specie homo sapiens sapiens, dal momento che con essa siamo stati e siamo in grado non solo di modificare, per lo più a nostro vantaggio, l’ambiente in cui viviamo, ma anche di creare, costruire, fabbricare una miriade di “artefatti“ costituenti la nostra cultura materiale. La mano appare essere uno degli organi primari mediante il quale il nostro corpo – e la nostra mente – svolgono un’interazione conoscitiva con la realtà circostante e contribuisce a formare e a sviluppare la nostra cognizione del mondo.
Il guanto che indossa Rebecca non è solo un vestimento, è un potenziamento fisico-mentale, una ricerca verso nuove azioni, verso ciò che può migliorare le nostre percezioni, non solo l'aspetto estetico formale.
Entrare in contatto con un oggetto tramite il tatto diventa utilizzare e conoscere il nostro corpo e ciò che lo investe.
GUANTI CHE AGISCONO.
Fingerhandschuhe, Berlino, 1973. |
Per concludere un percorso performativo nel 1974, la Horn realizza un video nel quale utilizza i Finger Gloves per toccare contemporaneamente tutti e due i lati della stanza.
Rebecca Horn, Scratching Both Walls at Once, video, 00:05:54, Berlino, 1973.
Il linguaggio della documentazione dell'artista si muove tra fotografie e video, ad oggi reperibili in web. E, come si riscontra nel video Scratching Both Walls at Once, Rebecca è in piedi ancora una volta al centro dello spazio che utilizza. L'artista tocca con le estensioni entrambe le pareti contemporaneamente, muovendosi a passi lenti e decisi e lasciando graffiare le dita-estensioni sui muri. Questa è un'allegoria dichiarata della sua lunga e sofferente prigionia, del suo bisogno di comunicare ciò che ha vissuto attraverso opere artistiche. La scultrice diventa essa stessa scultura motoria e vivente di un passato che l'ha segnata.
L'azione mette in atto una memoria del corpo, strumento attivo e presente che vive in tempo reale .
Per far sì che le protesi utilizzate tocchino perfettamente entrambe le pareti, pratica un processo di sincronizzazione tra spazio e forma. Modifica praticamente la lunghezza delle estensioni con precisione assoluta.
La performer così, riempie lo spazio della stanza su due assi, quello verticale (con i piedi a terra) e quello orizzontale (con le estensioni sul muro), tenendo il corpo in posizione centrale.
Analizzando la dinamica del movimento, Il centro della stanza è percorso in due direzioni rispetto al posizionamento della telecamera situato alla porta d'entrata: avanti (verso la telecamera) e indietro (allontanandosi da essa). Ma il fatto che l'artista si blocchi scostando le estensioni dal muro, per girarsi e continuare il suo percorso all'indietro, unisce l'avanti e l'indietro in un'unica dimensionèe: la profondità della sua ricerca.
Rebecca Horn si rapporta con lo spazio esterno come si è rapportata con il suo mondo interno.
Nel video che documenta questo lavoro l'inquadratura è fissa e posizionata davanti la porta d'entrata, rivolta ad una parete con due finestre binate con in mezzo uno specchio. Non c'è editing né fermo immagine, ma è una ripresa continua.
Suono di fondo è il rumore costante della pellicola in azione, accompagnato puntualmente dal graffiare delle estensioni sulle pareti.
Solo quando l'artista cammina si sente lo stridio delle dita, quando si sta girando per cambiare direzione c'è solo il rumore di fondo.
Finger gloves diventa voce del corpo dell'artista. La Horn si rapporta con la stanza in cui agisce come l'inconscio agirebbe all'interno di un sogno o di una memoria.
Quando diventa difficile stare al mondo e comprenderlo, quando non è possibile esplorarlo o raccontarlo, l’arte di Rebecca
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