giovedì 24 marzo 2016

NESSUN AUTORITRATTO NELLO SPECCHIO

Lo specchio è stato messo a tema dagli artisti che hanno lavorato nella seconda metà XX secolo, in una modalità diversa da quella dello strumento riflettente attraverso il quale pensare e realizzare un semplice autoritratto, concentrato sul corpo come semplice forma.  Esso diventa oggetto transmediale tra il corpo dell'opera, il corpo dell'artista e quello dello spettatore, in un gioco che a volte è semplice ludico raddoppiamento dell'immagine-corpo, oppure dispositivo che interroga lo spettatore sul ruolo del proprio sguardo, oppure elemento disgregante che frantuma l'interezza del corpo, oppure, ancora, un oggetto che non solo riflette, ma invita alla riflessione.
VITO ACCONCI ALLO SPECCHIO SI SDOPPIA NELL'ALTRO
Nei lavori degli anni settanta si occupa del proprio corpo in relazione con sé stesso e con l'altro. Il suo metodo affianca, con atteggiamento sempre minimalista, disegni, scrittura, foto e video.
Three Relationship Studies, 1970,
Film B/N e senza suono Super 8mm di 12:30 min.
Si tratta di un esercizio in tre parti, in cui Acconci esplora in prima persona le dinamica di interazione o di manipolazione dell'altro. Ognuno di questi esercizi utilizza una forma di riflessione, di specchio: l'ombra, il doppio, lo specchio. 


Acconci, Shadow -Play, 1970
In Shadow-Play, Acconci litiga, giocando a boxe, con la sua stessa ombra, confrontandosi con essa come se fosse un'altra persona.


Acconci, Imitation-Play, 1970 Imitations, Acconci cerca di rispecchiare i gesti e le azioni di un'altra persona,













Acconci , Manipulation- Play 1970 
Acconci, nascosto, dalla ripresa, ma davanti a uno  specchio e dunque visibile all'osservatore, sta in piedi davanti a una donna nuda e ne dirige i movimenti delle mani, poichè lei vede i movimenti delle mani dell'artista dentro lo specchio. Acconci inizia a lavorare qui sulle relazioni ossessive e oppressive. I temi  dell'alienazione e del potere iniziano a orientare la sua ricerca. 

JOAN JONAS, SE LO SPECCHIO É UN FRAMMENTO 

Mirror-Piece-I-Reconfigured-Guggenheim-2010
"Impossibile  vedere tutto", dice Joan Jonas, "perché tutto è frammento". Lo specchio è uno dei principali elementi impiegati dall’artista per le indagini sulla soggettività femminile, tema che attraversa tutta la produzione di Joan Jonas con un complesso e vasto repertorio di gestualità e auto-rappresentazioni. Si veda il catalogo della mostra (si può scaricare) realizzata all'Hangar Bicocca dal 10-2014 al 2-2015 sul sito dello spazio espositivo.
Tra i primi e più innovativi artisti della performance, Joan Jonas (New York, 1936) inizia il suo percorso come scultrice. Alla fine degli anni Sessanta, abbandona questa forma d’arte per trasformare, attraverso le azioni,  l’opera in un luogo d’incontro tra spettatore, artista e spazio. 
Le sue performance propongono da allora una struttura non lineare di echi e rifrazioni che anticipano la celebrazione di punti di vista complessi e ‘rizomatici’ (reticolari) rispetto al razionalismo, tipico della cultura di oggi. Jonas è da sempre interessata ai modi in cui le diverse culture, anche quelle primitive, si esprimono ed ha integrato elementi disparati quali il teatro giapponese Nô, la danza del serpente degli indiani Hopi, le favole europee e la mitologia greca. Le sue performance mescolano gesti ritualizzati con elementi scultorei ‘transizionali’di scenografia, ovvero attraverso i quali indaga la relazione tra realtà e il suo riflesso, il reale e l’immaginario. Elementi del lavoro con il corpo di Jonas sono:
  • LO SPAZIO della natura, (spiagge, prati, boschi) degli spazi urbani (palestre, loft, studi), 
  • il suo CORPO, nudo o vestito di una camiciola bianca o più spesso di una semplice vestaglia, insieme con quello degli altri performer, compresi i cani da lei molto amati, 
  • IL CORPO dello SPETTATORE o degli SPETTATORI 
  • LE STORIE, LE CANZONI, LE MUSICHE, I SUONI e GLI ATTREZZI DI SCENA PIU' DISPARATI. 
























Questi due fotogrammi sono tratti a WIND, performance del 1969, girato in riva al mare.  

Dice Jonas in un'intervista a Joan Simon, (in V. Valentini, a cura di, in Le Pratiche del video, Bulzoni 2003) "Nelle mie performance (...) ero semplice (...), non esistevo come Joan Jonas, come singolo Io, solo come presenza, parte del quadro. Mi spostavo in modo piuttosto meccanico. Negli abiti/specchio di Wind e di Oad Lau, camminavamo molto rigidamente con le braccia sui fianchi come in un rituale. Ci muovevamo nello spazio, nello sfondo, da un lato all'altro. (...) Quando un po' più tardi mi trovai negli altri lavori Mirror Piece, giacevo semplicemente sul pavimento e venivo portata in giro come un pezzo di vetro. (...)". 
Praticamente ha voluto usare il suo corpo come scultura, muovendosi nello spazio.
Ha scritto di sé "La performer vede se stessa come un mezzo: l'informazione la attraversa", (Joan Jonas, Closing Statements, in Joan Jonas, Scripts and Descriptions, 1968-1982, Berkeley, University Art Museum, 1983).


Jonas, Mirror piece I, 1969

Mirror Piece II (1971)
In   Mirror piece I (1969), gli spettatori venivano riflessi negli specchi, divenendo parte della performance in uno spazio dilatato che si rifletteva e si moltiplicava, moltiplicando di conseguenza anche il senso della propria soggettività (sia dei performer che del pubblico). Questi eventi si svolgevano in gallerie d’arte come in spazi alternativi, come loft privati di amici o nello studio dell’artista, fino a spazi esterni quali le strade (Ritardo ritardo, 1972) o la spiaggia (Opera per Jones Beach, 1970).
J.Jonas, Mirror Check, 1970



























La performance Mirror Check (1970), (originariamente eseguita all’interno del blocco performativo di Mirror Pieces)(1970), vedeva l’artista nuda, posta a circa 6 metri dal pubblico, mentre con un piccolo specchio di forma circolare ispeziona il proprio corpo.
Mirror Check, 1970, è stata rieseguita nel 2011 al Manchester International Festival.
Allo spettatore é negata la possibilità di osservare il riflesso dell’immagine e fruisce l’opera osservando i gesti eseguiti dall’artista. 
Mirror Pieces (1969) sono una serie di lavori realizzati in scuole, auditorium e all’aperto, e tutti costruiti attorno a coreografie basate sull’uso di specchi di uguali dimensioni e di movimenti da essi derivanti. Joan Jonas utilizzava le superfici riflettenti per frammentare la percezione di un evento e, quasi come in un montaggio cinematografico, selezionava e combinava il flusso delle immagini della performance: "il pubblico si vedeva riflesso negli specchi ed entrava a far parte del lavoro in virtù di questo riflesso. I performer, la stanza e gli spettatori [...] diventavano tutti elementi di una superficie di tipo cubista"(In Joan Jonas, Mouvement, Time, in Anna Daneri, Cristina Natalicchio, a cura di, Joan Jonas, Milano, Charta, 2007, p.22).












Piece for Beach, 1972.
Si legga qui di seguito un'intervista all'artista riportata nel blog Some landscapes, e ripresa da Interview Magazine :
"The first performance outdoors happened at Jones Beach [Jones Beach Piece, 1970]. It was based on the idea of how our perception of image and movement is altered by distance. A group of us performed a series of choreographed movements and signals with simple props such as a six-foot metal hoop, a ladder, a rope, a bag of shells, and a shovel. 
For instance, Susan Rothenberg, tied into the hoop, was rolled about by George Trakas and John Erdman. The audience was a quarter of a mile away. Performers stood at different distances from the audience and clapped blocks of wood together over their heads. The farther away, the greater the sound delay.
We next performed this work on the empty lots and the docks of the Lower West Side. It was called Delay Delay [1972]. We performed similar actions signaling to each other and the audience—who was situated on what is now the roof of Richard Serra’s loft building—from the farthest ends of the docks and the edges of the lots. Carol Gooden and Gordon Matta-Clark spent the entire performance painting a big circle and a line in the street below. Their dog sat nearby watching. Cars would slowly approach, slow down, and drive by carefully. During these performances, we were never interfered with. It was a different time."
Successivamente Joan Jonas ha sostituito parzialmente nelle sue performance l’uso degli specchi con l'obiettivo delle videocamere e le proiezioni in real time,  introducendo le riprese in diretta delle performance nell’ambito delle stesse performance come feedback in contemporanea ai gesti del performer. In queste performance successive Jonas interagiva con la propria immagine proiettata, e questa invenzione, che avvenne nel periodo di diffusione delle nuove tecnologie video, introdusse un inedito linguaggio artistico, attraverso cui interrogare i confini tra sé e gli altri, tra soggetto e oggetto dello sguardo, tra intimità, memoria e percezione.

LA VIDEOCAMERA -SPECCHIO DI GOB SQUAD


"I can...", 1998.
Realizzata Gruppo Gob Squad, gruppo di performance. Questa installazione consisteva in sei schermi in cui ciascun membro del gruppo poteva essere visto mentre si  offriva di fare diverse azioni, come "posso preparare una cena per sei persone, posso innamorarmi di te".  Ogni azione aveva  il suo prezzo speciale, che si vedeva nei monitor alla prima occhiata, come in un manifesto , oppure  come in una vendita televisiva, o su internet , con lettere che lampeggiano, dicendo "Compra adesso, compra adesso!!". Qui il monitor è specchio, scatola trasparente e pubblicitaria in cui ciascuno dice non solo chi è, ma soprattutto COSA SA FARE".
http://www.gobsquad.com/projects/i-can-video

I GESTI IMPOSTI E RIBALTATI DI BRUCE NAUMAN
















FOR BEGINNERS (all the combinations of the thumb and fingers), 2010
Quando Bruce Nauman lesse in un libro le parole "per bambini", pensò ai pezzi per piano scritti appositamente per piccoli principianti che imparano a studiare, giustappunto, il pianoforte.  In quest'opera  si vedono due grandi videoproiezioni specchiate delle mani di Nauman in 31 differenti possibili combinazioni di ciascun dito in rapporto al pollice. Ciascuno dei due video è accompagnato da un audio con la voce dell'artista che impartisce con voce fredda e impositiva  le istruzioni per ciascuna combinazione. I due video sono uguali, tranne il fondo, bianco uno e nero l'altro,  ma non sono sincronizzati, e sono proiettati in modo che si avverte sempre un ritardo del sonoro sul video:  quindi le ingiunzioni vengono DOPO le immagini delle azioni, dei gesti.



















VIDEO CORRIDORS (1979-80)
https://www.youtube.com/watch?v=9IrqXiqgQBo
Qui la coppia videocamera/monitor viene utilizzata e tematizzata come problema specchiante e come problema del dentro e del fuori e di una riflessione possibile. Lo spettatore, tramite la videocamera e lo schermo che lo riflettono, riflette.
Nauman immagina nelle sale espositive una parete, alla fine della quale c'è un monitor, e all'inizio invece  una videocamera. Quando lo spettatore, senza avere indicazioni prestabilite, volta l'angolo della parete,  si vede di schiena nel monitor, perché la videocamera a circuito chiuso lo sta riprendendo.
Il pubblico può usare, ma non alterare l'opera.  Nauman costruisce un'opera che ha a che fare con delle risposte fisiche o fisiologiche. Dice Nauman: " I problemi circa la figura umana riguardano il corpo in quanto oggetto, o almeno la figura in quanto persona e le cose che succedono a una persona in situazioni diverse alla maggior parte della gente piuttosto che solo a me o a una persona in particolare". (in V. Valentini, a cura di, in Le Pratiche del video, Bulzoni 2003).

SERGIO LOMBARDO, SPECCHIO E PERCEZIONE SUBLIMINALE



























Specchio tachiscoscopico, con stimolazione a sognare, 1979
Al centro del lavoro di Lombardo (1939, Roma) è l'osservatore, il cosiddetto "fruitore dell'opera d'arte" che è invitato a interagire con l'opera come se quest'ultima fosse portatrice di un evento tanto potente quanto misterioso. Opera potente come un oracolo, ma direttamente traslato nel sogno futuro dello spettatore, dunque un'opera che attiva la creatività di chi la guarda. Lombardo inventa e costruisce un dispositivo - stimolo,  in grado di suscitare un evento: evocare in sogno futuro allo spettatore un'immagine vera, autentica, unica, della sua persona. Non dunque l'immagine costruita dall'artista, ma l'immagine generata in sogno dallo stesso spettatore, come risposta a uno stimolo subliminale .
Sergio Lombardo, La tua vera immagine, 1983
Si cita dal sito di Sergio Lombardo, fondatore del movimento eventualista: «Uno  specchio semitrasparente è montato su una scatola di legno nella quale è inserita un’immagine che diventa visibile solo quando la scatola è illuminata dall’interno. A questo scopo dentro la scatola si trova un flash attivabile dall’esterno per mezzo di un pulsante. Accanto allo specchio si trova una scritta che fornisce al pubblico le seguenti istruzioni per l’uso dello specchio, così come avviene nelle cabine in cui si fanno le foto per i documenti:  "Inquadra il tuo volto al centro dello specchio e fissalo intensamente per circa un minuto. Concentra la tua attenzione sull’occhio destro, e, mentre continui a fissarlo intensamente, premi il pulsante. Questa notte, o la notte successiva, farai un sogno. Un sogno indimenticabile che riguarderà la tua immagine: ti vedrai in una forma assurda, simbolica, segreta, e, forse, non ti riconoscerai. Vedrai la tua vera immagine. Un sogno che ricorderai perfettamente anche da sveglio". Scrive l'artista nel suo sito:"(...) facevo uso di una scatola fornita di specchio semitrasparente attraverso il quale si poteva vedere un’immagine nascosta nella scatola quando questa veniva illuminata dall’interno con un flash fotografico. Il tempo di illuminazione era troppo breve per riconoscere l’immagine consapevolmente, ma il suo contenuto influenzava la persona in diversi modi. Otto Pözl (1917) aveva scoperto che le immagini date in visione tachistoscopica e non identificate riapparivano nei sogni. Io aggiunsi delle istruzioni per l’uso dello specchio suggerendo di sognare "la tua vera immagine". Nel 1979 esposi lo Specchio Tachiscopico con Stimolazione a Sognare come un lavoro di arte interattiva in alcune gallerie (Lombardo 1979, 1981, 1991; Lux 1981, Calvesi et al. 1995). (...) Lo specchio con le istruzioni e l’immagine subliminale è lo stimolo, il sogno è l’evento, il racconto del sogno corredato da eventuali illustrazioni è la documentazione dell’evento». (cfr. sito di Sergio Lombardo)

GLI SPECCHI DI DAN GRAHAM RIFLETTONO CHI GUARDA E NON SOLO


Dan Graham, Public Space two audiences, 1976 

















Public space/ Two Audiences, 1976
Dan Graham, artista concettuale americano,  alla fine degli anni settanta ha iniziato a lavorare in modo interdisciplinare, combinando  fotografia, scrittura, performance, film, arte e architettura. Questo lavoro è stato  presentato alla Biennale di Venezia nel ’76 e si tratta di uno spazio che funziona sia come opera, sia come padiglione espositivo.  Organizzato in  due stanze contigue uguali divise da una parete di vetro insonorizzante,  presenta  uno specchio che fa da parete di fondo a una delle due stanze. In questo modo, come dice l'autore, "Gli spettatori osservano e al tempo stesso sono osservati": il vetro divisorio è come una finestra, che “oggettiva” il comportamento del pubblico osservato, e questo pubblico stesso a sua volta diventa uno specchio dell'altro pubblico  che osserva.  Lo specchio in fondo a una delle due stanze fa sì che il pubblico osservante (primo pubblico) vede sé stesso in un solo gruppo, impegnato nell’osservazione dell’altro pubblico ( secondo pubblico) . Per il secondo pubblico si crea una situazione parallela, ma rovesciata. Guardando l’altro pubblico, ciascuno dei due cerca una conferma oggettiva della propria ricettività  soggettiva nel contesto dell’esperienza sociale.

NELLO SPECCHIO BOETTI SI SDOPPIA
Boetti, Shaman-Showman, litografia, 1968

















Shaman Showman, 1968 litografia realizzata in 35 copie, manifesti appesi per Milano.
Nella mostra personale di Boetti nel 1968, Shaman Showman,   alla Galleria De Nieuborg di Milano, Boetti esplorava la tematica dell'altro e del doppio, entrando nell'allestimento e progettazione della mostra, disegnando i manifesti pubblicitari, dove fissava per la prima volta l'immagine del suo "doppio". 

















Adam Kadmon, Immagine tratta dall’Histoire de la Magie di Eliphas Lévi Zohar, testo della tradizione cabalistica



















Immagine dal Libro Sacro delle Sephirot
Nella litografia Shaman Showman,  Boetti sostituisce il proprio volto a quello dell’Adam Kadmon dello Zohar – testo fondamentale della tradizione ebraica cabalistica – nell’immagine tratta dall’Histoire de la Magie di Eliphas Lévi (1860). Duplica infatti la sua figura , ribaltandola su un asse orizzontale come le carte da gioco, e inserendo i segni dell’alfabeto ebraico come nella rappresentazione ebraica delle dieci Sephirot, i dieci strumenti di Dio che compaiono anche nel diagramma dell'Albero della Vita secondo la Cabala ebraica.
Boetti, Gemelli, 1969ì8, opera postale








Gemelli, 1968
Dal 1972 Boetti inserisce la lettera & tra Alighiero e Boetti, a testimoniare la  propria consistenza doppia. Gemelli è un'opera d'arte postale, un fotomontaggio di due rappresentazioni di sé stesso-Boetti  in cinquanta cartoline che spedisce poi ad amici e conoscenti.

GINO DE DOMINICIS E L'ATTIMO IN CUI IL CORPO RIFLESSO SPARISCE
Lo specchio interviene nell'opera di De Dominicis instaurando  una dinamica non di riflessione, ma, piuttosto,  di doppia sottrazione (Così scrive Gabriele Guercio in L'arte non evolve, Johan &Levi, 2015, da cui abbiamo tratto anche queste due immagini), dell'opera  e del pubblico.
















 Specchio che tutto riflette, tranne gli esseri viventi, 1988, esposto alla Galleria Lia Rumma di Napoli.
Qui il pubblico è invisibile allo specchio, mentre l'opera si può vedere simultaneamente in due pareti della Galleria. Dal libro di Guercio, che introduce con attenzione di studioso alle tematiche misteriose del lavoro di De Dominicis, aprendo il pensiero a riflessioni ulteriori: "Entrando, i visitatori si trovano in una sala semibuia dove un proiettore illumina un quadro alla parete: una tavola dipinta di nero con il profilo di una donna e quello di un uomo tracciati a matita d' argento e carboncino, rispettivamente sul lato sinistro e sul lato destro del quadro. (la ninfa celeste Urvasi, dea dell'antichità Veda, e il mitico re sumero Gilgamesh, partito alla ricerca dell'immortalità del corpo, ndr.) e  al centro del quadro tra i due profili, un prisma disegnato, che rievocava chiaramente quello di Durer in Melancholia, un solido geometrico che rappresenta il cosmo nella sua manifestazione più misteriosa.    Sulla parete opposta all'opera c'era una cornice d'argento con superficie di vetro, che rifletteva l'intera stanza, ma non la presenza degli spettatori che si cercavano nello specchio. Non si trovavano, però, perché De Dominicis aveva costruito un meccanismo, un trucco ottico: nella galleria infatti era stata costruita una parete divisoria, che creava così due sale simmetriche ciascuna delle quali con un'opera e un proiettore apparentemente identici. Quello che sembrava uno specchio era  in realtà una finestra che permetteva di guardare nell'altra stanza dove non c'era nessuno.



















Albrect Durer, Melancholia, incisione 


TUTTI CORPI NEI QUADRI SPECCHIANTI DI PISTOLETTO



Pistoletto, Quadri specchianti, dal 1963
Quadri Specchianti, dal 1963

Pistoletto (Nasce a Biella nel 1933, dove tuttora vive).
 http://www.pistoletto.it/ dal sito di Pistoletto: "Dopo aver realizzato, nel corso del 1961, una serie di dipinti su fondo nero riflettente, tutti intitolati significativamente “Il presente”, Pistoletto conduce una serie di esperimenti tesi a raggiungere il massimo grado di quell'oggettività manifestatasi nei primi dipinti specchianti. (...) Giunge infine, nel corso del 1962, a mettere a punto la tecnica con la quale produce d'ora in poi i suoi quadri specchianti: una lastra di acciaio inox lucidato a specchio sul quale è applicata un’immagine ottenuta mediante una tecnica di riporto fotografico, consistente nel ricalcare una fotografia, ingrandita a dimensioni reali, a punta di pennello, su carta velina. A partire dal 1971 la velina dipinta sarà sostituita da un processo serigrafico di riproduzione dell’immagine fotografica.  I quadri specchianti costituiscono il fondamento dell’opera di Pistoletto, sia della sua successiva produzione e attività artistica, sia della riflessione teorica nella quale egli costantemente a essi ritorna per approfondirne il significato e svilupparne le implicazioni. Le caratteristiche essenziali, che l’artista stesso individua in essi, sono principalmente: la dimensione del tempo, non soltanto rappresentato, ma realmente presente; l’inclusione nell’opera dello spettatore e dell’ambiente circostante, che ne fanno “l'autoritratto del mondo”; la congiunzione di coppie di opposte polarità (statico/dinamico, superficie/profondità, assoluto/relativo, ecc), costituite e attivate dall'interazione tra l’immagine di natura fotografica e ciò che avviene nello spazio virtuale generato dalla superficie specchiante; la collocazione dei quadri specchianti non più ad altezza finestra, come tradizionalmente vengono appesi i quadri, bensì sul pavimento, fa sì che essi aprano un varco attraverso il quale l'ambiente in cui sono esposti si prolunga nello spazio virtuale dell'opera, una porta che mette in comunicazione arte e vita.
I quadri specchianti vengono esposti per la prima volta nella personale di Pistoletto alla Galatea nell’aprile del 1963. Pochi giorni dopo l’inaugurazione Pistoletto si reca a Parigi, dove conosce la gallerista Ileana Sonnabend, che successivamente acquista in blocco l’intera mostra e rileva il contratto di Pistoletto con la Galatea".

NEVIN ALADAG, LO SPECCHIO E LA MISURA DELL'IDENTITA'




Nevin Aladag, Spiegelfamilie [Family Portrait:Figlia,figlio, padre , madre e cane] (2007/2011 
Nevin Aladag (b. 1972, Turchia; vive a Berlino): nel suo lavoro,esplora differenti processi di formazione di identità collettive e individuali, ponendo attenzione a come esse siano in grado di travalicare i confini culturali e geografici attraverso il linguaggio, la danza e la musica. 
Spiegelfamilie [Family Portrait:Figlia,figlio, padre , madre e cane] (2007/2011)cinque specchi sono riferiti, per misure diverse, ai membri di una famiglia tradizionale. Gli specchi sono disposti in modo tale che le famiglie possano interagire con essi, confrontando come le loro misure corrispondano a quelle di una famiglia ideale.

PAOLINI  

La prima opera in cui Paolini ha utilizzato un calco in gesso e un soggetto antico è Elegia, del 1969. Un calco dell'occhio del David di Michelangelo con un frammento di specchio applicato alla pupilla. Lo specchio è nello sguardo del maestro con cui non ci si può confrontare.
PENONE 

GIUSEPPE PENONE, Rovesciare i propri occhi, 1970
Penone si fa fotografare con gli occhi coperti da lenti a contatto specchianti: Cieco, vede dentro di sé.

CESARE TACCHI SI CANCELLA 

PAINTINGS, 1972
Lavoro fotografico realizzato da Elisabetta Catalano nel quale l’artista propone l'azione inversa alla Cancellazione, OVVERO RICOMPARE DALLA SPARIZIONE 




CESARE TACCHI
DISEGNI DA PAINTINGS, 1975
Dalla didascalia dell’opera esposta al PALAEXPO nel 2018:
Nel 1975 Cesare Tacchi realizza una serie di opere partendo dall’ultimo scatto della sequenza PAINTING. Ricalca i contorni della sua figura nell’atto di sorreggere la superficie di vetro e riproduce la silhouette così ottenuta in più copie ( fotocopie ) sulle quali interviene con il disegno e la pittura



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