giovedì 22 maggio 2025

SPOGLIARE – TRASCINARE – SOTTOMETTERE - UMILIARE - DISCRIMINARE

Si può provare a tracciare un disegno della situazione attuale della violenza sul corpo delle donne mediante la riflessione su alcune parole chiave contenute nel libro Contro ogni forma di violenza: la parola alle donne (appena pubblicato da Efesto ed.) che raccoglie gli atti del Convegno con lo stesso titolo del 3 dicembre 2024. In questo contesto, analizzeremo le opere sul e con il corpo di alcune artiste il cui lavoro ruota proprio intorno alle parole spogliata, trascinata, sottomessa, rosso sangue, discriminata, che ricorrono, spesso e tutte nei numerosi interventi del Convegno, descrivendo diverse situazioni in cui la violenza – non solo fisica, ma anche sociale, culturale –nel corso dei secoli è stata e viene tuttora ancora esercitata in tante forme proprio sul corpo femminile. 

SPOGLIATA – TRASCINATA – UMILIATA 

Pippa Bacca, Sposa in viaggio (2008)

Pippa Bacca, Sposa in viaggio (2008)

Bianco e rosso sono due colori che per secoli hanno simboleggiato la prima notte di nozze, il lenzuolo esposto con il sangue di una giovane sposa esposto alla comunità. Nel suo intervento al convegno Contro ogni forma di violenza, Antonio Passa racconta l’esperienza tragica della performance itinerante di Pippabacca, di cui cinquanta opere sono attualmente in mostra a Milano, Palazzo Morando, fino al 7 settembre 2025. 

Per ulteriori info su Pippabacca: https://www.iltascabile.com/linguaggi/e-di-pippa-non-mi-chiedi-nulla/

L’artista è stata stuprata e uccisa nel 2008 mentre percorreva il suo itinerario della performance Spose in viaggio nel corso della quale lei e la sua collega Silvia Moro, vestite solo di un abito da sposa, senza borse né valigie, ma solo con il corpo – abito, hanno percorso centinaia di chilometri dall’Italia verso la Turchia (il loro itinerario di pace era diretto a Gerusalemme) in autostop. Arrivate a Istambul, le due artiste si sono separate e date appuntamento a Gerusalemme, dove si sarebbe concluso il loro percorso.  Scrive Antonio Passa: "Pippa vuole portare in dono la libertà di essere rispettate in quanto donne. ". L’autostop, infatti,  pratica in voga a partire dagli anni ’70 dello scorso secolo, è un metodo di viaggio ormai obsoleto che comporta fiducia, coraggio, generosità, curiosità autentica nei confronti del prossimo. Il fallimento di Pippa, vittima di un uomo che l’ha trascinata fuori dal camion, stuprata e uccisa, ha permesso tuttavia di rendere pubblica una violenza che spesso è coperta dal silenzio, dalla vergogna, se non addirittura dalla colpa, dalla responsabilità di essersi esposta. A cosa? 

Elina Chauvet, Zapatos Rojos (2009- oggi)

Elina Chauvet, Zapatos Rojos (2009- oggi)

A Ciudad Juárez, città di frontiera nel nord del Messico, a partire dal 1993, centinaia di donne vengono rapite, stuprate e assassinate. Qui, dal 2009, Elina Chauvet, architetta, ha realizzato una installazione pubblica con 33 paia di scarpe da donna rosse, divenuta un progetto che, curato da Francesca Guerisoli, ha attraversato decine di città in Messico,in USA, in Italia, disseminando in spazi pubblici centinaia e centinaia di scarpe dipinte di rosso che testimoniano il sacrificio di tante donne uccise dai loro compagni. 

Ana Mendieta, Rape Scene, (Performance di uno stupro), 1973 

Ana Mendieta, Rape Scene, (Performance di uno stupro), 1973 

Ana Mendieta è stata una performer e attivista femminista di origine cubana, nata a L’Avana 1948 e morta a New York 1985.  Dal 1983 al 1985 ha vissuto tra New York e Roma, dove si è sposata con l'artista concettuale Carl Andre, otto mesi prima di morire, precipitando misteriosamente dal 34 piano durante una lite col marito (inizialmente arrestato, Andre fu assolto nel 1988 per mancanza di prove). Mendieta realizzò diverse performance intorno al soggetto dello stupro. In questa si  ispirò ad un incidente avvenuto realmente nel Campus dell’Universita del Iowa, dove una studentessa era stata stuprata e uccisa. Invitò pertanto amici e studenti nel suo appartamento in Moffitt Street nella città di Iowa, dove essi si trovarono di fronte alla porta dell’appartamento socchiusa, ed entrarono in una stanza buia con una piccola luce che limitava illuminava l’artista stessa, spogliata e distesa su un tavolo con sangue che scendeva dalle sue gambe. Mendieta più tardi disse in un’intervista quanto la morte della giovane l’avesse colpita e spaventata: identificandosi con la vittima, voleva rompere il codice di silenzio che voleva mantenere anonimi gli stupri, riducendoli a fatti personali, laddove invece sono piuttosto legati a situazioni culturali e sociali.

 

Ana Mendieta, Body Traks 1974 

Body Traks
1974 

Alcune di queste performance col sangue o pitture rossa erano private erano eventi filmati. Per Mendieta l’uso del sangue per fare tracce del corpo era un modo di purificazione e in più prendere il potere di affermare il suo status di artista femminile femmina hai penso che è un grande potere magico che il sangue ha un grande potere magico non lo vedo come una forza negativa. 

 Ana Mendieta, Untitled (Self-Portrait with Blood) |

SOTTOMESSA - FRUSTRATA 

MARTHA ROSLER,  Semiotics of the Kitchen 1975 

MARTHA ROSLER,  Semiotics of the Kitchen 1975 

L'artista americana Martha Rosler, afferma di avere voluto lavorare, in quest'opera,  su “la nozione di 'linguaggio che parla al soggetto' e alla trasformazione della donna stessa in un segno, in un sistema di segni, che rappresentano un sistema di produzione alimentare, un sistema di soggettività imbrigliata”. La semiotica del linguaggio culinario scopre un gioco linguistico che testimonia la violenza che ha costretto e ancora costringe tante donne confinate nelle pareti domestiche, in ruoli subalterni. Nel 2003, alla Whitechapel Gallery di Londra, in occasione di A Short History of Performance, Part II, Rosler ha indetto un bando per la riproposizione dal vivo di questo suo lavoro. Ventisei donne hanno partecipato a una performance a rotazione, sono state registrate e “trasmesse” su monitor televisivi in tutta la galleria attraverso una trasmissione in diretta. Barbara Kruger's Untitled (Your Body is a Battleground) (1989). 


VALIE EXPORT, Body Configurations (serie, 1976) 

VALIE EXPORT, Body Configurations (serie, 1976) 

Nata Waltraud Lehner VALIE EXPORT è nata nel 1940 a Linz, in Austria, ma all’età di ventisette anni ha deciso  di andare all’anagrafe per slegarsi dal cognome del padre prima e da quello del marito poi, optando per il suo nickname VALIE unito a EXPORT, che, oltre a ispirarsi al logo di una nota marca di sigarette austriaca, definisce l'artista come prodotto commerciabile. In questi lavori, l'artista, attuvista femminista, usa il proprio corpo per mostrare e denunciare, attraverso le posture e i gesti, la sottomissione del corpo femminile alle regole sociali. 


 DISCRIMINATA - DIRITTO AL RISPETTO 

 TC&A, Better Dead Than Dying,  2014.

 TC&A, Better Dead Than Dying,  2014. 

Il Progetto TC&A, The Tissue Culture &Art project ha sede a Perth, in Australia e ne sono responsabili Oron Catts e Inat Zurr. Oron Catts è un artista e Direttore del SymbioticA, Centro di Eccellenza per le Arti Biologiche, Scuola di Scienze Umane, Università dell'Australia Occidentale, mentre Inat Zurr è Docente senior di Belle Arti presso la Scuola di Design, Università dell'Australia Occidentale. Con il loro lavoro, i TC&A mettono in discussione le implicazioni filosofiche, culturali ed etiche relative alla vita e identità. L'opera in questione è realizzata a partire da una cellula HeLa,  appartenuta a Henrietta Lachs. La donna, che lavorava nei campi di tabacco della Virginia, così come i suoi antenati schiavi,  morì per un tumore, nel 1951 e i medici, senza preoccuparsi di chiedere alcun consenso, prelevarono un campione dei suoi tessuti e si accorsero ben presto di un fenomeno sbalorditivo, mai registrato prima nella storia della medicina: le cellule tumorali continuavano a crescere fuori dal corpo, in laboratorio.  Il suo corpo venne sepolto in una tomba anonima, ma sue cellule furono prelevate, coltivate in laboratorio e rese immortali per essere inviate dapprima gratuitamente poi a pagamento, creando un’industria miliardaria sulle sue cellule, a tantissimi laboratori in tutto il mondo per realizzare studi sul cancro, sulle malattie infettive e sulla biologia delle cellule umane. La storia della donna e della causa intentata dai suoi discendenti è narrata nel libro di Rebecca Skloot, La vita immortale di Henrietta Lacks (Aldephi 2011). 

Henrietta Lachs
Cellule HeLa

In Better dead than dying, le cellule HeLa sono state avvolte da una struttura polimerica che riprende la silhouette di Henrietta da una delle sue fotografie più note. Questa silhouette è collocata in un ambiente artificiale chiuso appositamente progettato che inizialmente agisce per sostenere la crescita delle cellule HeLa sulla struttura polimerica, che tuttavia è destinata a morire, poiché le cellule consumano i loro nutrienti e producono rifiuti che finiscono per trasformare il loro ambiente in una camera della morte.

venerdì 16 maggio 2025

IL FUNAMBOLO E L'ARTISTA IN EQUILIBRIO SUL VUOTO : PETIT, KLEIN, MURESAN, DE DOMINICIS

Il corpo umano possiede il potere di reagire alla forza di gravità, all’inerzia e alla forza impressa, che sono le forze primarie del mondo fisico,  attraverso l'interazione tra due sistemi: il sistema propriocettivo che riguarda la propria posizione nello spazio ed enterocettivo, che si focalizza sulle informazioni provenienti dall'esterno.

Come gli altri sistemi sensoriali, il sistema enterocettivo si avvale di cellule specializzate (recettori) che in tale sistema sono localizzati nella maggior parte dei tessuti corporei: muscoli, ossa, pelle e organi interni. L’area cerebrale che riceve la maggior parte delle informazioni riguardanti l’enterocezione è la la corteccia insulare o insula,  che processa gli stimoli enterocettivi permettendoci di diventare consapevoli di ciò che sentiamo. L’enterocezione ci permette di provare molte sensazioni importanti che si possono distinguere in due categorie principali, stati corporei e stati emotivi: gli stati corporei comprendono le funzioni corporee basilari o le condizioni fisiche del nostro corpo come fame, sete, stimolo minzionale o evacuativo, dolore, eccitazione sessuale, prurito, solletico, temperatura corporea (sensazione di caldo/freddo), nausea, mal di testa, malessere, tensione muscolare. Gli stati emotivi, come rabbia, calma, imbarazzo, felicità, ansietà, tristezza, paura, stanchezza, rilassamento.   

Il sistema propriocettivo offre informazioni sullo spazio e tempo in cui ci si trova, e di ogni altro fattore, è responsabile dell’aspetto di un individuo e della sua organizzazione motoria. La maggior parte delle operazioni coinvolte nel guidare e nel controllare i nostri movimenti corporali sono inconsce. Non siamo consapevoli della maggior parte dei movimenti coinvolti nella nostra postura. Spesso sono movimenti abituali e automatici. Le sensazioni propriocettive sono raggruppate secondo la loro origine in varie parti dell’organismo in tre tipologie: 

A. Sensazioni cinestesiche, o di movimento, presenti in tutto lo scheletro e nelle strutture muscolari. provengono da numerosi terminali presenti nei muscoli, nei tendini, nelle articolazioni, nei legamenti, nelle ossa, nelle cartilagini in altri tessuti di supporto del sistema locomotore e ci rendono coscienti del movimento sia passivo che  attivo, di  resistenza o di pressione e delle relative posizioni delle parti del corpo.

B. La sensazione della propria posizione nello spazio deriva da sensazioni speciali presenti nella parte più profonda dell’orecchio ma che non fanno  parte del sistema del senso acustico. L'orecchio è infatti un vero e proprio organi diviso in tre parti: esterno, medio e interno. I primi due sono dedicati esclusivamente alla funzione uditiva, poiché raccolgono le onde sonore, le dirigono all'organo sensoriale e amplificano il loro effetto sui meccanorecettori. L'orecchio interno contiene i recettori dell'udito e dell'equilibrio. Questi organi sono localizzati in una camera ossea chiamata in labirinto o vestibolo e le sensazioni si chiamano vestibolari o labirintiche poichè registrano la posizione della testa e del corpo in relazione al pavimento e la direzione di movimento nello spazio. Due distinti organi sono coinvolti: gli otoliti e i canali semicircolari.  Gli otoliti (dal greco oto, orecchio e lithos, pietra) sono delle piccolissime formazioni di ossalato di calcio, ossia dei sassolini, presenti sulle cellule che rivestono l'orecchio interno, cioè la parte dell'orecchio situato all'interno del timpano. Equilibrio statico: Quando la testa si muove, gli otoliti e la membrana si spostano provovando la flessione delle ciglia delle cellule ciliate contenute nella membrana stessa, che trasmettono lo stimolo al nervo vestibolare che trasmette l'informazione al cervello.   Questo sistema costituisce il delicato apparato che permette di mantenere l'equilibrio e di orientarsi nel movimento e nella direzione. Equilibrio dinamico: corrisponde al mantenimento della posizione del corpo in risposta a movimenti improvvisi come la rotazione, l'accelerazione e la decelerazione.esso è affidato ai tre canali semicircolari, i quali sono orientati secondo le tre direzioni nello spazio e ciascuno dei quali ha una porzione ingrossata che si chiama ampolla all'interno della quale si trova un sistema di liquidi gelatinosi che, spostandosi determinano segnali che vengono trasmessi al nervo vestibolare. 


C. Le impressioni miste derivanti da gruppi di diversi organi interni come quello digestivo, escretorio, viscerale. 

PHILIPPE PETIT 

(AP Photo/Alan Welner, File)

THE WALK è un film del 2015 di Robert Zemeckis, con Joseph Gordon Levitt nei panni di Philippe Petit, il celebre funambolo francese che nel 1974 compì la traversata delle Torri Gemelle del World Trade Center su un cavo di acciao senza nessuna protezione. Qui una intervista con alcune clip delle sue sospensioni. Philippe Petit ha scritto un libro autobiografico nel 2002. Qui il trailer del film

La scheda su Yves Klein che segue è stata preparata da Sandro Canali: 

YVES KLEIN, LE SAUT DANS LE VIDE, 1960 
In questo lavoro, Yves Klein, in un sobborgo di Parigi,  si butta da un tetto di un palazzo a volo d’angelo. L’artista, in realtà,  plana su un telo sostenuto da 5 suoi amici judoisti (per molti anni si è pensato che fossero dei Vigili del fuoco). Ad assistere alla performance c’erano due fotografi, Harry Shunk & János Kender, che oltre a documentare l’atto con delle fotografie, hanno in seguito eseguito un fotomontaggio, togliendo il telo e le persone che lo sostenevano. Klein ha ripetuto la performance 9 volte. Nel tempo diversi artisti hanno fatto il reenactment di questa performance. 

 L’artista ha utilizzato il proprio corpo come strumento fondamentale e poi ha usato la fotografia che ha  documentato il lavoro dal vivo. Solo successivamente è stato eseguito un fotomontaggio della foto, togliendo il telo e le persone intorno. La foto è stata pubblicata su copie del  Journal du Dimanche, il 27 novembre del 1960, un quotidiano di quattro pagine, ispirato al vero «Journal du dimanche» e uscito in edicola per un solo giorno, insieme.   
Il tema centrale dell'opera è il vuoto, accanto al cadere, caduta, all'’illusione, alla sfida dei limiti umani. Non lo vediamo mai atterrare, ma resta solo, come un angelo,  sospeso nel vuoto, non lo vediamo atterrare.   Il performer usa tutto il corpo per l’azione, ma  ha una particolare attenzione a come dispone le braccia e il torace prima di saltare, perchè vuole dare l’idea dell’ascensione verso l’alto. Fa pensare all’affresco di Giotto nella Cappella dei Scrovegni a Ravenna e a Santa Teresa D’Avila a cui l’artista era fortemente devoto. 
L’artista sembra che sia perennemente sospeso nell’aria, così, vestito con una giacca, pantaloni e scarpe: quella che arriva al pubblico è un’azione congelata e ferma nel tempo. 
Il vuoto può contenere il suo corpo: non ci sono spettatori . L'unico spettatore sarà quello della fotografia, Yves Klein ne vuole colpire la percezione visiva, tramite il fotomontaggio. 
Sandro Canali suggerisce la lettura di questo articolo di Riccardo Venturi su Doppiozero. che apre un'interessante rifelssione su un significativo remake dell'opera compiuto dall'artista rumeno Ciprian Mureșan. 

Ciprian Muresan, Leap Into the Void – After Three Seconds,

Nel 2004 infatti Ciprian Mureșan, artista rumeno nato nel 1977,  ha realizzato un ironico e apparentemente tragico remake del celebre gesto kleiniano, intitolandolo Leap Into the Void – After Three Seconds, mostrata nel Project Space alla Tate Modern di Londra nel 2012, come parte della mostra Stage and Twist. Il corpo di Mureșan, giace a terra, il volo non è riuscito nel suo intento: non c'è santità, c'è solo il vuoto della sconfitta, del fallimento.  “Nella mia fotografia- afferma Ciprian Mureșan nel 2011 in un’intervista di Emily Nathan su Artnet – ho creato un mondo parallelo specifico per la Romania, che rappresentasse la situazione di un artista a Cluj nel 2004: a nessuno interessava l’arte. La differenza tra il mio mondo e il mondo che Klein rappresenta è incarnata in quei tre secondi tra il salto e la caduta”. L'equilibrio è perduto, non c'è alcuna speranza in quel vero paesino di vera campagna. 

Tentativo di volo è un breve video realizzato da  Gino de Dominicis di cui esiste anche una sequenza fotografica.  Il video, realizzato da Gerry Schum, inizia con le parole dell’artista, che afferma: “Forse perché non sono mai riuscito a nuotare ho deciso di imparare a volare.” L’artista, come un uccello, prova a partire dall’alto per essere avvantaggiato nella prima planata. Sbatte le braccia, prima lentamente poi sempre più deciso, si butta, ma ricade più volte per terra con un effetto deludente, ma soprattutto comico, ridicolo. Il video e le foto che ripetono in parodia l'ispirato Salto nel vuoto di Klein e "del suo proposito “immateriale” di oltrepassamento dell’arte.", come scrive Silvia Tomassi nel suo articolo Nessun salto è mai nel vuoto.  

venerdì 9 maggio 2025

MATTEW BARNEY IN LOTTA CONTRO LA FORZA DI GRAVITA'

 In opposizione alla forza di gravità un corpo può essere sospeso o appeso: con le sue forze, oppure sostenuto da altri corpi. 


Da una scheda di Jacopo Mainardi

Nelle sue opere, fin dall'inizio, Mattew Barney, artista americano,  sperimenta il suo sforzo nel dipingere o disegnare su muri. Prendiamo in esame il suo lavoro analizzato da Jacopo Mainardi, Drawing Restraint 2, MoMa di New York,1988:  

Drawing Restraint è una serie iniziata nel 1987, quando Barney era ancora studente ed era un progetto a lungo termine. Drawing Restraint 2 (1988) è una performance che viene documentata attraverso video, fotografie e disegno. Barney utilizza attrezzature sportive, rampe, trampolini, elastici e dispositivi di sospensione per creare situazioni in cui il suo corpo deve lottare contro una forza contraria mentre produce un disegno sulle pareti di una stanza. Sviluppata in privato, questa performance  è stata filmata e fotografata al fine di preservarne una documentazione in bianco e nero. “Drawing Restraint 2” infatti  incorpora fotografia, scultura e performance. 

 L’idea centrale di Drawing Restraint 2 è che la resistenza, l’ostacolo o la limitazione possono stimolare l’inventiva e la produzione artistica. In Drawing Restraint 2, Barney si arrampica su una parete utilizzando cinghie elastiche per creare tensione mentre disegna su una superficie, facendo del disegno un esercizio fisico in cui deve bilanciare controllo e movimento. I temi ricorrenti nella serie includono la resistenza fisica come stimolo per la creatività, la trasformazione del corpo, e l’interazione tra controllo e libertà nel processo artistico. Il performer è uno solo, l’artista, Barney che si arrampica e corre lungo panche inclinate, legato alle cosce con una corda elastica che ne limita i movimenti, per disegnare su dei fogli di carta fissati sul punto più alto della parete, aiutandosi anche con una asta di legno. In azione è tutto il suo corpo che indossa abiti normali, di tutti i giorni. 

L'opera non ha un racconto, ma una descrizione di sforzi fisici e resistenze, una performance ginnico-estetica che elabora una dimensione temporale reiterata. Il corpo dell’artista lotta in una situazione costretta autoimposta in uno scantinato claustrofobico. Gli elementi della performance richiamano gli attrezzi ginnici classici del suo background di atleta, panche, maniglie, corde elastiche, blocchi e pinze metalliche per reggere i fogli di carta sulle pareti dove disegna con matite e pastelli neri. Il corpo dell’artista è in continua tensione con gli elementi della performance, la sua postura è forzata. La luce è artificiale e fredda. L’azione è ripresa in video in bianco e nero, per esaltare la restrizione e la drammaticità. Il corpo è un luogo di lotta e la restrizione aiuta alla creazione artistica, senza un pubblico. Barney mette il suo corpo e la sua esperienza come ex atleta al servizio dell’atto artistico. Il trascorso avuto sui campi da football lo ha segnato, quindi ha iniziato a usare il suo corpo come tramite creativo, a sviluppare situazioni restrittive creando una sorta di resistenza contro il suo corpo. Barney pensa che come un atleta ha bisogno dello sforzo per crescere, il suo corpo ha bisogno di resistenza autoimposta per la creazione artistica. Applicando l’idea di ipertrofia alla crescita artistica, sia essa fisica, culturale o spirituale, Barney ha esplorato il concetto che gli artisti “più forti” (come gli atleti più forti) dovrebbero superare ostacoli autoimposti per creare qualcosa di “più elevato”; qualcosa di più “potente”.  Ritengo la sua performance blandamente provocatoria verso il mondo dell’arte, che notoriamente limita gli artisti. Il corpo nella performance diventa un luogo di lotta verso questi limiti e sistemi imposti e questo atto di resistenza diventa l’arte stessa.

Per approfondire il lavoro di Mattew Barney, questo link in questo blog

mercoledì 30 aprile 2025

BAS JAN ADER, BUSTER KEATON, BRUEGHEL: CADERE, CADERE E CADERE ANCORA

La catena sensomotoria delle reazioni dei nostri nervi e nostri muscoli si modifica gradualmente attraverso l’associazione di idee derivate non tanto dalla meccanica o da considerazioni fisiche ma piuttosto da concetti morali e sociali: stare dritti, tenere le spalle indietro, il  torace aperto! Diceva  William James che le posture influenzano le emozioni: una certa postura mantenuta nel tempo influisce sulla percezione di sè. 
Quindi cadere potrebbe essere il risultato di una postura casuale, sbagliata, ma anche il risultato di una decisione che si oppone alla legge dell'inevitabilità del fallimento. Quindi cadere come scelta, cadere come pratica determinata, in cui si scelegono i modi in cui cadere,  senza opporsi alla legge di gravità. Stare in bilico, ondeggiare, gettarsi, inclinarsi, volteggiare. 

La caduta è solo un'interruzione momentanea dell'equilibrio:
BAS JAN ADER (1942-75)
artista concettuale olandese che lavorò mediante film-azione sulla sospensione, l'equilibrio, la caduta. Si legga il commento al suo lavoro in Teresa Macrì, Fallimento, Postmedia books, 2017, in cui l'autrice interpreta il tema delle cadute sperimentate ossessivamente  come "congegno linguistico di rottura"... regolato dalla ripetizione e dalla riduzione.

Ma forse il  lavoro di Bas Jan Ader, proprio nella sua reiterazione,  è anche però una sfida contro qualsiasi legge imposta, in cui la caduta non è (solo)un fallimento, ma soprattutto una prova di resistenza, una sfida esistenziale alla legge del fallimento.  Ogni lavoro ha le sue cadute. 
Fall1, Los Angeles, 1970 (Lui che cade dal tetto perdendo una scarpa)
https://www.youtube.com/watch?v=O_Vr1H_PK_c
Fall 2, Amsterdam, Lui che cade in bicicletta in un canale della città olandese
Broken Fall (geometric) Westkapelle, Holland, 1971, lui che cade, dopo avere perduto lentamente l'equilibrio,  su un  cavalletto di legno,  sullo sfondo del faro di Westkapelle, dipinto nel 1909 come monumento luminoso alla verticalità dal "geometrico" Mondrian.
https://www.youtube.com/watch?v=L9NnmvW8https://www.youtube.com/watch?v=LDB-9NnmvW8

Broken fall (organic), Amsterdamse Bos, Holland,  1971presentato alla di Venezia (2017 )

Cadere con effetto domino:
BRUEGHEL IL VECCHIO 
«Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso
dal Vangelo secondo Matteo

BRUEGHEL IL VECCHIO,  La parabola dei ciechi, 1568, in cui il pittore dipinse come un anatomista patologo,  una dotta gamma di patologie cliniche dell'occhio.  Qui il cadere assume, con le diverse posture di una sola scena vista in ralenti,  un andamento drammatico: dall'ultimo ignaro fino al primo, già in terra, si vede come una sorta di sequenza in cui i corpi mano a mano rotolano giù, uno per uno, come in un film di animazione in slow motion.

Il mestiere di cadere ad arte: 
BUSTER KEATON 

https://www.youtube.com/watch?v=vYrJ5PnPotA
Nato a Piqua nel Kansas nel 1895 in un giorno in cui si abbatteva un tornado. I suoi genitori erano attori di professione e lavoravano con il celebre illusionista Houdinì. Fu proprio lui a dare il soprannome di Buster al piccolo Keaton che partecipava agli spettacoli in cui si esibivano i genitori.  Houdinì gli affibbiò tale nome dopo aver visto il bambino ruzzolare rovinosamente per le scale e alla fine del capitombolo rialzarsi illeso e divertito. Lo definì infatti un Buster, (combattente), e come tale  esperto in cadute e il bambino diventò la principale attrazione degli spettacoli della sua famiglia. Con vestiti larghi e con una cuffia che lo faceva sembrare calvo, con una finta barba “all’irlandese” e con enormi stivali, Buster faceva la parte di un nano -così facevano credere agli spettatori- che veniva sistematicamente riempito di schiaffi e calci in faccia e  veniva lanciato in aria e fatto cascare nella fossa dell’orchestra, provocando un suono assordante che segnava la fine dello spettacolo.

giovedì 24 aprile 2025

LA DISTRUZIONE DELL'ARTE RIGENERA L'ARTE: GUSTAV METZGER

"Il fatto che la tecnologia ci permetta di trascendere i limiti della percezione naturale e vedere cose che prima erano invisibili, crea una nuova dimensione estetica dell’esperienza e pratica che con noi chiamiamo estetica molecolare": così scriveva Peter Weibel (1944-2023, austriaco artista e studioso di media arte) in Molecular Aestetic, poderoso testo scritto con Liljana Fruk, che riunisce i contributi di un convegno svoltosi nel 2011 presso lo ZKM di Karlsruhe in Germania. La ricognizione dello studioso sulle trasformazioni del rapporto tra rappresentazione e oggetto nell’arte occidentale prende avvio da una acuta analisi che inizia dal programma scientifico che Leonardo nel XV secolo aveva descritto nel suo Trattato sulla Pittura, finalizzato alla descrizione degli elementi necessari alla rappresentazione di ciò che è visibile nella realtà: punto, linea e superficie. Nell’arte del ‘900, secondo Weibel, la realtà ha sostituito la rappresentazione ed è penetrata nell’arte con oggetti reali e corpi reali. Successivamente, l’avvento delle nuove tecnologie ha dato luogo all’invasione dell’ arte e della realtà da parte dei media che hanno aperto un varco verso l’immaterialità, il virtuale e la simulazione. Poiché gli organi di senso sono l’interfaccia naturale di ciascun essere animale nei confronti dell’ambiente, i media, che estendono gli organi di senso, sono definiti da Weibel come interfacce artificiali di questi stessi organi attraverso i quali gli esseri umano osservano e danno significato al mondo e all'ambiente che li circonda. Non solo, ma se è vero che la realtà è relativa all’osservatore, e quest’ultimo costruisce la realtà attraverso gli organi di senso, prima solo naturali e ora anche artificiali, allora anche gli organi di senso artificiali costruiscono nuove realtà: quella dei media e quella della natura.  Qui citiamo le testuali parole di Weibel tradotte da noi: "Inoltre essa ( la Media Art) non si focalizza sull’analisi autoriflessiva del mondo intrinseco dei significati della rappresentazione così come faceva la pittura astratta, ma la sua analisi autoriflessiva porta a un’analisi della rappresentazione visuale del mondo che forse diventa anche una critica della realtà costruita dagli stessi media". 

Se l'arte che utilizza nuove tecnologie, una anatomia, il cui stesso nome deriva dallo strumento di dissezione utilizzato dalla scienza medica per scoprire il corpo, e che si voglia dire artistica, creando un ponte tra scienza e arte, non può non fare i conti con i nuovi strumenti di indagine del corpo, dai microscopi, ai raggi X, alle tomografie ed ecografie, alle potenzialità e alle problematiche derivate dall'inserimento dei nuovi media nell'accesso contemporaneo al corpo umano.  



 Per l’artista tedesco Gustav Metzger, vissuto in Inghilterra (dove era stato trasferito da bambino con l’operazione Kindertransport perché ebreo) e ivi morto novantenne, l’arte, che integra scienza, tecnologia e attivismo ambientale è auto-distruttiva, come disse in una sua famosa conferenza a Londra nel 1966, intitolata, appunto,  Destruction in Art Sumposium  DIA. Metzer ha scritto quattro manifesti teorici sulle implicazioni sociali del gesto autodistruttivo (dal 1959 al 1962), il primo dei quali, denominato Manifesto dell’ADA (Auto-Destructive Art) lo scrisse  in occasione della sua seconda mostra personale presso la 14 Monmouth Street di Londra, in cui la sua pratica teorica e artistica si scagliava contro i concetti di possesso, commercializzazione e proprietà dell’arte.  Qui si interrogava sull'obsolescenza e la degenerazione dei materiali, facendo un parallelo  con il fascino della distruzione della società occidentale, con la devastazione causata dall'umanità alla natura. Decise infatti  di esplorare il potenziale creativo della scienza e della tecnica, utilizzando materiali quali l'aria compressa, gli acidi, il gas di scarico, l'acqua, il calore, i cristalli liquidi e facendo con questi materiali diversi esperimenti alla ricerca della ricerca sulla metamorfosi della materia.

Si riportano qui alcuni passi del suo Manifesto del 1961: 

AUTO-DESCTRUCTIVE  ARTE

"L'arte autodistruttiva è per prima cosa una forma di arte pubblica per società industriali. Pittura, scultura e costruzione autodistruttiva costituiscono un'unica idea di un processo di disintegrazione che comprende luogo, forma, colore, metodo, tempo.  

L'arte autodistruttiva può essere creata con forze naturali, tecniche artistiche tradizionali e tecniche tecnologiche.

L'artista può collaborar e con scienziati e ingegneri.

L'arte  autodistruttiva può essere prodotta prodotta con le macchine e assemblata in una fabbrica.

Le pitture le sculture e le costruzioni autodistruttive hanno una durata vitale che varia da pochi secondi a 20 anni.  Quando il processo di disintegrazione sarà completo l'opera sarà rimossa dal sito e rottamata. (...) L'arte autodistruttiva è arte che contiene al suo interno un agente che automaticamente porta all'autodistruzione in un periodo che non supera i vent'anni.   

(...) 

MANIFESTO AUTO-DESTRUCTIVE ART

Un uomo in Regent Street è autodistruttivo. (ndr. Regent Street è una strada di Londra famosa per i suoi negozi) 

Razzi, armi nucleari sono autodistruttivi. 

Arte autodistruttiva.

La caduta delle bombe H che cadono come gocce.

Nessun interesse per le rovine (il pittoresco).

L'arte autodistruttiva rimette in scena l'ossessione per la distruzione e per la demolizione a cui sono soggetti masse e individui. 

L'arte autodistruttiva mostra il potere dell'uomo di accelerare il processo di disintegrazione e del riordino della natura;

L'arte autodistruttiva rispecchia il perfezionismo compulsivo delle fabbriche di armi che mirano al perfezionismo della distruzione;

L'arte autodistruttiva è la trasformazione della tecnologia in arte pubblica. L'immensa capacità produttiva, il caos del capitalismo e del comunismo sovietico, la coesistenza di surplus e di fame, l'aumento e lo stoccaggio di armi nucleari (più di quelle necessarie per distruggere le società tecnologiche), l'effetto disintegrativo delle macchine e di vite costrette in vaste aree di edifici adibiti a  dormitori. 

Si rimanda con alcuni video interessanti sul suo lavoro:  https://slowforward.net/2021/11/22/gustav-metzger-tre-video/ 

Di seguito  si descrivono alcune opere che introducono alla sua poetica della distruzione:

Earth from Space (1966)
La terra vista dallo spazio, immagine dell'European Space Agency

Earth from Space (revisited) (1966/2014), riallestita ne 2014, è un'installazione cinetica che bene esemplifica il suo approccio. L'opera è costituita da slides di vetro (vetrini tipo microscopio) contenenti cristalli liquidi, attivati da un motore elettrico e da una bobina di riscaldamento. I cristalli liquidi si spostano e cambiano colore, simulando la Terra vista dallo spazio. L'installazione, posta su un piedistallo, mette l’osservatore di fronte a una trasformazione dei colori che testimoniano l'impatto dell'attività umana sull'ambiente. Gustav Metzger aveva iniziato ad interessarsi alle potenzialità dei cristalli liquidi, leggendo un articolo sulla rivista  Scientific American del 1964, che esaminava la le proprietà trasformative della struttura molecolare, ottica e termica dei cristalli liquidi colesterolici

Earth from Space è la sua prima opera cinetica con i cristalli liquidi e anche la prima opera in cui Metzger sfruttò le proprietà aleatorie e trasformazionali dei cristalli liquidi in un lavoro che si auto-riproduceva, governato da una ripetizione ciclica e che confermava le teorie dell'artista sull'arte autogenerata.  

Liquid Crystal Environments (1966-2024) 

Sempre con i Cristalli liquidi Gustav Metzger ha concepito un’altra installazione, stavolta ambientale: Liquid Crystal Environments (1966-2024) esperienza visiva dei processi di autodistruzione e auto-creazione, mediante i quali Metzger è riuscito a connettere la riflessione sull’instabilità dell’esistenza in una terra post-atomica con una nuova coscienza ecologica. I cristalli colorati erano inseriti tra due lastre di vetro inserite in un proiettore di diapositive e sottoposti all'effetto della temperatura della lampada del proiettore. La proiezione sui cinque schermi della luce sparata attraverso cristalli liquidi compressi tra le diapositive creava colori e forme viscose che mutavano lentamente con la fluttuazione della temperatura della lampada. Gustav Metzger ha allestito questa installazione per la prima volta a Londra presso la Better Books Gallery nel 1966. Lo stesso anno, durante il Capodanno celebrato alla Roundhouse di Londra, proiettò i suoi cristalli liquidi sul palco mentre suonavano i gruppi Cream, The Move e The Who. Si creava così un paesaggio di origine microscopica in continua evoluzione che rivelava la vita della materia. 

Acid Paintings (1960-1962) 

Acid Paintings (1960-1962) Si trattava di una azione distruttiva attuata nella corrosione del nylon che l’artista compiva come in un sacrificio rituale: “La teatralità dell’atto performativo si riduce ai minimi termini. Metzger si limita ad attivare un processo, il cui esito sfugge al proprio controllo” . La prima volta utilizzò acido cloridrico su tre tele di nylon presso il molo di South Bank, a Londra. Metteva in atto il processo di trasformazione e disintegrazione della materia, la violenza delle immagini, il rapporto tra trauma e perdita. Si legga questo testo di Jacopo De Blasio pubblicato su Doppiozero e anche Estetica dell’auto-distruzione di Piermario De Angelis per Antinomie).

 Drop on Hot plate 
Drop on Hot plate (1968-2024) Si tratta di un esperimento di condensazione dell'acqua in cui l'acqua cadeva da una sacca per flebo attraverso un tubo su una piastra calda. Qui, una goccia d'acqua completamente formata si posava sulla superficie metallica prima di evaporare. L'evaporazione è un processo continuo, invisibile all'occhio umano. vedi qui il video.
Mobbile  (1970/2021)

 Progetto Stoccolma (si rimanda all’articolo ricco di spunti Gustav Metzger e il "Progetto Stoccolma" di Jacopo De Blasio  ) Nel 1972 si svolse la prima conferenza sul tema dello sviluppo sostenibile, la Conferenza di Stoccolma, tenutasi tra il 5 e il 16 giugno 1972 e a cui parteciparono gran parte dei membri delle Nazioni Unite, ovvero 112 stati, nonché le agenzie specializzate ONU ed altre organizzazioni internazionali. 


Preceduto dall'installazione Mobbile, il progetto Stoccolma prevedeva  una installazione con decine e dcine di auto accese che, con i loro gas di scarico, riempivano un cubo trasparente di monossido di carbonio. L'artista ne ha sviluppato diversi prototipi, poi una installazione.  


giovedì 3 aprile 2025

GLI EQUILIBRISMI DI UNA ARTISTA FEMMINISTA, VALIE EXPORT

Nella sua serie fotografica Body Configurations in Architecture (1972-82). VALIE EXPORT (il cui vero nome è Waltraud Lehner, nata nel 1940 a Linz) si fotografa mentre espone il suo corpo all’adattamento agli edifici: così l’artista, con le sue posture inusuali mostra come il corpo femminile è costretto ad adattarsi, a sottomettersi alle convenienze e alle regole ad esso imposte dallo sguardo- potere (maschile).


 L’artista si sdraia sui pavimenti, si piega sugli scalini, si curva sulle volute: perde la stazione eretta perché soggiogata, costretta da forze esterne. L’architettura del Theseustempel di Vienna e del Palazzo di Giustizia la sovrastano le fanno perdere l’equilibrio con il quale dovrebbe camminare come un essere umano: cade, striscia, si butta per terra e così con il suo corpo reale testimonia le difficoltà vissute dal corpo di tante donne artiste, soprattutto della sua generazione.



Come in altre performances, VALIE EXPORT lavora in strada, di fronte ad un pubblico non scelto,e non dentro una galleria. La disseminazione del suo lavoro nello spazio urbano rende il suo lavoro ancora più potente, è un frammento di realtà del corpo che colpisce l’immaginario delle persone, ne mette in dubbio le certezze, le regole sociali.



IL SORRISO EBETE DEL PUPAZZO DI NEVE CHE NON PUO' MORIRE

 Snowman è una scultura Alta 1,80 m., realizzata dagli artisti svizzeri Peter Fischli e David Weiss (Weiss è morto di cancro nel 2012) e dalla Fondazione Beyeler di Basilea,nel Novembre del 2020. 

Un primo modello di quest’opera era stato creato nel 1990 per essere esposto di fronte a una centrale termoelettrica a Saarbrücken, in Germania, nel 1990. Gli artisti, con la loro tipica ironia,  avevano deciso di realizzare un’opera alimentata da energia proveniente dalla centrale, convertendo però il calore energetico in freddo, come sempre rafforzando il paradosso linguistico del loro lavoro.  “They were looking for a piece for in front of a power plant. We decided it had to be something that was dependent on the power of the power plant,” Fischli in una intervista al New Yorker. 

Successivamente, nel 2016 sono stati realizzati quattro nuovi esemplari di Snowman che hanno viaggiato fino allo Sculpture Garden del Museum Modern Art di New York, poi alla terrazza dell'Art Institute di Chicago etc. 

Quello alla Fondazione Beyeler di Basilea, è l'unico in Europa e in Svizzera ed è anche il primo a funzionare a energia solare. Il pupazzo è protetto da una teca di vetro alta due metri e mezzo, e non è in realtà fatto di neve, ma è una struttura di rame ricoperta di brina e riempita d'acqua che si condensa, si raccoglie sulla superficie della statua e si congela. Ogni mattina, la teca riceve una nuova partita di acqua distillata. Il vetro smerigliato è ottenuto mediante una sottile nebbia d'acqua spruzzata all'interno.

 Daniela Zangrando,  direttrice del Museo d'Arte Contemporanea Burel di Belluno scrive in un suo interessante racconto di cui forniamo il link : “Sembra quasi che questo personaggio sia tenuto in vita a forza. Non può sciogliersi. Non gli è data la possibilità di seguire il corso delle stagioni, la variazione della temperatura esterna. Non può morire.

E lo stesso destino è previsto per Michey17, il protagonista dell'omonimo film del regista e coproduttore  sud coreano Bon Joon-ho (l'autore di Parasite con cui ha vito la Palma d'Oro a Cannes nel 2020),  che è costretto a rivivere continuamente perchè ogni volta che muore,  il suo corpo - utilizzato per pericolosi esperimenti - viene riprodotto mediante una speciale stampante 3D. Si può leggere qui qualche info di Wikipedia sul film.